La Nuova Sardegna

Tirrenia ha 20 giorni per evitare il fallimento

Alessandro Pirina
Tirrenia ha 20 giorni per evitare il fallimento

La procura di Milano ha depositato la richiesta: i giudici decidono il 6 maggio. Cin non ha alternative: dovrà trovare l’accordo sul debito con i commissari

16 aprile 2021
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SASSARI. Tirrenia ha venti giorni di tempo per non affondare. Il 6 maggio i giudici di Milano dovranno decidere sull’istanza di fallimento presentata dalla procura. Per il gruppo sarà una corsa contro il tempo per evitare il crac della compagnia che comporterebbe un dramma occupazionale di proporzioni immense - parliamo di circa 6mila dipendenti - nonché una grande incognita sul futuro dei collegamenti per la Sardegna. Da qui al 6 maggio l’armatore partenopeo dovrà cercare di trovare l’accordo con i commissari di Tirrenia in amministrazione straordinaria sul debito di 180 milioni. Solo un’intesa potrebbe evitare il fallimento della ex compagnia di Stato.

L’udienza. Ieri mattina la procura di Milano ha depositato la richiesta di fallimento per Cin. Ad avanzarla è stato il pm Roberto Fontana sulla base dell'articolo 162 che regola la «inammissibilità della proposta» del piano di ristrutturazione che 15 giorni fa Cin aveva annunciato di voler presentare. Ma il pubblico ministero si è detto disponibile a un rinvio in tempi contenuti dell’udienza in cui si dovrà decidere sull’istanza. Anche i commissari avrebbero potuto depositare la stessa richiesta della procura, ma non lo hanno fatto. Ad avanzare la richiesta di un totale rinvio della questione, in modo da continuare le trattative con i commissari, sono stati gli avvocati di Onorato, ma è stata ritenuta irricevibile perché i termini sul concordato in bianco sono già scaduti e non sono ulteriormente prorogabili. Di fatto, però, i giudici hanno dato a Onorato altri venti giorni di tempo, fino al 6 maggio, concedendo quel “rinvio contenuto” suggerito dal pm prima di esprimersi sulla richiesta di fallimento.

I debiti. La procura di Milano ha indicato un passivo di Cin di circa 200 milioni e debiti scaduti per circa 350-400 milioni, di cui 180 nei confronti dell'amministrazione straordinaria dell'ex Tirrenia. Ed è proprio la mancanza di un’intesa con i commissari che rischia di fare precipitare Tirrenia verso il fallimento. Il 30 marzo Onorato aveva depositato la domanda di concordato in continuità per Moby, mentre per Cin, in assenza di un accordo con i commissari e il benestare del Mise, si era dovuto limitare ad annunciare l’intenzione di presentare un piano di ristrutturazione, «anche alla luce degli accordi già sottoscritti con circa il 95 per cento dei fornitori e grazie alla partnership con l'investitore Europa Investimenti/Arrow». Insomma, un concordato in bianco di cui ieri i giudici del tribunale fallimentare hanno di fatto dichiarato cessati gli effetti protettivi. Ora dunque Cin non ha altra scelta. L’ex compagnia di Stato deve usare questo tempo ristretto - ma comunque fondamentale per le sue sorti - per presentare un piano di salvataggio completo: o un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione. Qualora venisse raggiunto prima della prossima udienza questo fermerebbe la richiesta avanzata dalla procura di Milano e Tirrenia eviterebbe il fallimento. Altrimenti il 6 maggio saranno i giudici a decretare il destino dell’ex compagnia di Stato.

Il mancato accordo. Alla base della richiesta di fallimento avanzata dal pm di Milano c’è proprio la questione del debito di Onorato verso i creditori di Tirrenia in amministrazione straordinaria. E dunque verso lo Stato. Un debito di circa 180 milioni. La soluzione proposta da Cin prevedeva uno sconto di circa il 20 per cento. E dunque il pagamento dell’80 per cento del credito che da chirografario sarebbe stato elevato a privilegiato con ipoteche di primo grado e avrebbe garantito la piena occupazione del personale navigante anche in assenza del rinnovo della convenzione per la continuità marittima e il proseguo del piano di rinnovo flotta del gruppo. A frenare sull’accordo sarebbe stata però soprattutto la paura dei commissari di finire davanti alla Corte dei conti per danno erariale. Ma c’è chi vede lo stesso rischio in caso di mancato accordo. Perché in caso di fallimento della compagnia, oltre alle forti ripercussioni sui collegamenti marittimi e sull’occupazione, il recupero del credito si aggirerebbe fra il 17 e il 26 per cento. E dunque, nella migliore delle ipotesi lo Stato potrebbe rifarsi di appena un quarto del credito che vanta sul gruppo Onorato. Un danno ancora più cospicuo per le casse pubbliche. Ma per sapere come andrà a finire bisogna aspettare il 6 maggio, a meno di qualche colpo di scena.

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