La Nuova Sardegna

Donne sarde più decise a denunciare le violenze

Donne sarde più decise a denunciare le violenze

Durante la pandemia i casi consumati all’interno delle famiglie sono aumentati. Le chiamate al numero d’emergenza sono passate in un anno da 149 a 320

21 giugno 2021
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CAGLIARI. È stata una pandemia nella pandemia. La violenza domestica è aumentata fino a raddoppiare nei numeri assoluti dal 25 marzo al 17 maggio, le settimane del lockdown. La convivenza forzata ha messo ancora più in evidenza quanto donne e bambini possano essere a rischio quando vivono a stretto contatto con un marito, o un padre, manesco e aggressivo. Il Crenos, centro di ricerche delle università di Cagliari e Sassari, ha dedicato un capitolo del suo consueto report sullo «stato della Sardegna», proprio al fenomeno della violenza domestica. Se nel 2019 le chiamate al «1522», il numero d’emergenza, erano state 149, nel periodo del lockdown sono più che raddoppiate fino a superare la soglia dei 320 casi. I numeri in Italia sono ancora più spaventosi: da 6.956 a 15.280 richieste d’aiuto. È evidente, però, che questi numeri ufficiali tengano conto solo delle telefonate al «1522», non purtroppo del sommerso. Sommerso che, non è difficile da immaginare, potrebbe avere – anzi, lo ha di sicuro – una dimensione molto più consistente.

Territori a confronto. I ricercatori del Crenos hanno analizzato anche l’andamento delle chiamate al «1522» provincia per provincia, per poi metterle a confronto con quelle effettuate nel 2019. Nei mesi tra marzo e giugno 2020, nel Sulcis l’aumento è stato del 75 per cento. Ancora: negli altri territori le richieste sono più che raddoppiate. In provincia di Cagliari, ad esempio, è stato registrato addirittura un valore più alto rispetto alla media nazionale, con 27,8 chiamate ogni 100mila abitanti, contro il 16,3. La statistica comprende anche il cosiddetto primo approccio da parte delle vittime: sono quelle che ancora non hanno deciso se e come liberarsi dalla catena di violenze. Sempre secondo la ricerca Crenos, durante il periodo delle restrizioni a casa, la quota del «primo approccio» è passata dal 68 per cento, è una media calcolata sugli ultimi anni, all’83. È un’altra conferma di come il fenomeno sia sempre in aumento, come lo è purtroppo anche quello dei femminicidi.

Più determinate. Rispetto alle altre Regioni, pero le donne sarde sono da sempre più decise nel denunciare le aggressioni. A confermarlo è questo raffronto: nonostante il 35 per cento delle donne italiane vittime di violenza da parte del partner, o dell’ex, consideri l’episodio subito un reato, poi soltanto il 12 per cento ha denunciato l’autore delle violenze. In Sardegna, invece, la consapevolezza immediata dell’essere rimasta vittima di un reato sale al 47 per cento e molto più della metà ha poi denunciato. Queste differenze – si legge nel dossier – emergono anche rispetto al numero di donne che si sono rivolte, sempre nel 2020, ai Centri antiviolenza e al Telefono rosa dopo essere state aggredite: il 7 per cento in Sardegna contro una media nazionale di quasi quattro punti in meno.

Il passaggio decisivo. «Sebbene – scrive il Crenos– il lockdown abbia rappresentato un evento eccezionale, l’incremento delle chiamate al numero 1522 evidenzia la diffusione del fenomeno e la necessità per le vittime di essere aiutate». Come? Ancora dal dossier: «L’istituzione del Reddito di libertà, con la Sardegna prima regione a realizzarlo, è stato un primo e importante passo, ma serve anche una rete capillare di servizi che diminuisca il costo economico e psicologico dell’uscita della donna dal luogo in cui è vittima di violenze». Per concludere con un appello: «Abbattere le barriere culturali, come lo sono gli stereotipi che giustificano la predominanza fisica, psicologica e sessuale dell’uomo rispetto alla donna, è imprescindibile per estirpare la violenza». (ua)

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