La Nuova Sardegna

I silenzi e le connivenze che hanno protetto l’orco

di Enrico Carta
I silenzi e le connivenze che hanno protetto l’orco

Gli inquirenti sospettano che la madre sapesse degli abusi del 60enne 

23 settembre 2021
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ORISTANO. La madre sapeva e ha provato a salvare il violentatore della figlia? È il dubbio, per gli inquirenti forse anche qualcosa di più di un dubbio, che nasce leggendo le pagine dell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato in carcere il sessantenne arrestato per violenza sessuale nei confronti di una ragazzina. Da qualche giorno è dentro una cella per i presunti abusi durati cinque anni, dal 2016 al 2020, e iniziati quando la vittima aveva appena dodici anni. L’adolescente si è salvata qualche mese fa grazie alla confidenza fatta a un’amica e alla richiesta di una «mascherina 1522» rivolta a una farmacista, la quale ha immediatamente capito di avere davanti una persona che stava chiedendo soccorso e voleva denunciare quella storia di violenza che durava da troppo tempo.

Tutto diventa più chiaro nelle pagine dell’ordinanza firmata dalla giudice per le indagini preliminari Federica Fulgheri che ha accolto la richiesta di custodia cautelare in carcere del pubblico ministero Silvia Mascia che coordina le indagini della Squadra mobile della polizia guidata dal dirigente Samuele Cabizzosu. È in quelle righe che l’ambito entro cui si sono mossi i protagonisti è ricolmo di degrado sociale: da un lato c’è la ragazzina che, quasi quotidianamente e per cinque anni, frequenta la casa del sessantenne. Dall’altro c’è proprio l’indagato. È un suo parente, ha qualche soldo che gli arriva dal reddito di cittadinanza e dal lavoro saltuario per conto di un ente pubblico, e a lui e alla compagna viene continuamente affidata la ragazzina. La scelta è della madre della dodicenne che sa di non poter garantire alla figlia un sostentamento costante, così si rivolge a chi sa che lo può fare al posto suo.

Nella casa però sarebbero iniziati gli abusi che poi la ragazzina confida all’amica, la quale la convince a far ricorso alla formula col numero 1522. Prima che però l’indagato finisca in carcere passano mesi ed è in questi mesi che inizia una serie di attività investigative. Alcune persone vengono intercettate e tra queste, oltre al sessantenne, ci sono anche la sua compagna e la madre della ragazzina. Quel che si percepisce dai dialoghi – alcuni brani sono poi riportati nell’ordinanza – è che entrambe sapessero e stessero cercando di costruire, assieme all’indagato, una versione che potesse toglierlo dai guai.

Lo stesso pubblico ministero, nel momento in cui deve dire se presta il consenso affinché la compagna del sessantenne possa andare in carcere a trovarlo, dà parere negativo. Motiva la sua opinione spiegando che un colloquio avrebbe potuto consentire ai due di concordare una versione che potesse aiutare l’indagato. La giudice concederà il permesso, ma su chi indaga la convinzione resta e deriverebbe proprio dalle precedenti intercettazioni, tra cui anche quelle che coinvolgono la madre della ragazzina. Quest’ultima viene a sapere degli abusi sulla figlia nel momento in cui viene interrogata e, già da quel momento, dà quasi l’impressione di non credere a quanto le viene riferito. Sempre nell’ordinanza si fa riferimento poi ad altre persone, alle quali, a loro volta sarebbe stato concesso di abusare della ragazzina, convinta a tacere per tutti quegli anni tramite minacce e piccoli regali. Un ricatto e una costrizione ai quali, per così tanto tempo, non avrebbe trovato la maniera di opporsi.

Sono tutti aspetti che l’indagine deve chiarire, anche perché l’ordinanza di custodia cautelare offre solamente un piccolo spaccato, per quanto significativo, degli elementi che hanno portato all’arresto dell’indagato (come sempre avviene in questi casi, non indichiamo il nome per tutelare l’identità della vittima, ndr). Qualcosa di più preciso lo si conoscerà nel momento in cui l’avvocato Gianfranco Siuni, legale del sessantenne, presenterà riesame contro la misura cautelare: a quel punto la difesa entrerà in possesso di tutti gli atti e potrà valutare meglio la posizione del proprio assistito. Da quel momento sarà più chiaro anche il perché di quel tentativo di tirare fuori dai guai il presunto violentatore.

Quest’ultimo, oltre al carcere, ha subito anche un ulteriore misura: la giudice ha infatti deciso di revocare il reddito di cittadinanza. Per reati di questo tipo è infatti una misura che può essere adottata ancor prima di una sentenza, qualora vengano ravvisate determinate particolarità. È il minimo, in un momento in cui il problema principale dell’indagato è quello di trovare una linea difensiva convincente: per ora, all’interrogatorio di garanzia, ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere.

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