La tragedia dimenticata dell’Itavia caduto a Caselle: 17 sardi fra le vittime
Claudio Zoccheddu
L’aereo precipitò vicino a Torino il 1° gennaio 1974
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SASSARI. La memoria è affidata ad una lapide di marmo sistemata poco dopo l’ingresso del cimitero di Caselle Torinese, paese di 13mila abitanti a nord di Torino. Sopra sono incisi i nomi delle 38 vittime del disastro aereo del volo Itavia IH897, partito da Cagliari il 1 gennaio del 1974 e precipitato a pochi chilometri dall’aeroporto di Torino. Il resto dei ricordi è affidato alle tragiche fotografie scattate poco dopo il disastro, ai reportage giornalistici dell’epoca e ai ricordi dei soccorritori intervenuti in quella che ancora adesso è un’area verde a meno di quattro chilometri a sud dell’aeroporto. Nient’altro, ad eccezione di una pagina su Wikipedia ancora incompleta nell’elenco delle generalità delle vittime. Una tragedia completamente dimenticata che era costata la vita a 17 persone provenienti dall’isola. Alla carambola impazzita, probabilmente innescata da un errore del pilota, sopravvissero tre passeggeri, Eliana Ruggiu e Piero Cotza, madre e figlio, ed Enrico Isoni, tutti sardi. Scampò alla morte anche un membro dell’equipaggio, l’assistente tecnico Giampaolo Sciarra. Sotto il cumulo di rottami aggrediti dal fuoco, invece, si consumò rapidamente la vita di intere famiglie di emigrati che rientravano in Piemonte dopo aver trascorso il Natale sull’isola.
Il volo. Il Fokker F28-1000 decollò dall’aeroporto di Cagliari-Elmas poco dopo le 10.30 del 1 gennaio del 1974. L’aereo avrebbe terminato il viaggio a Ginevra ma il piano di volo prevedeva due scali, a Bologna e Torino. Durante la prima parte del volo non ci furono problemi e il Fokker ripartì da Bologna verso Torino alle 12.40. Poco meno di un’ora dopo il comandante e il suo vice, Domenico Romeo e Giulio Montanari, dovettero fare i conti con un fittissimo banco di nebbia che copriva l’aeroporto di Caselle. L’avvicinamento alla pista avvenne dunque sotto la guida della torre di controllo. Un accorgimento che non bastò ad evitare il disastro perché, come venne stabilito in seguito, i due piloti commisero l’errore di cercare un contatto visivo con il suolo, abbandonando quello che in gergo viene chiamato “sentiero di discesa” e scendendo sotto la quota di sicurezza senza consultare l’altimetro. Fu allora che l’aero urtò la cima di un pioppo e, poco dopo, il tetto di un capannone. Il contatto provocò una sorta di stallo, l’aereo impazzì e iniziò una vorticosa rotazione che portò al distaccamento di un’ala. Completamente fuori controllo, il Fokker si schiantò sul terreno, perse l’altra ala e la fusoliera scivolò capovolta per centinaia di metri, fino ad arrestare la sua corsa sul muro di una cascina, dove si spezzò in due tronconi.
La tragedia. Non tutti morirono dopo l’impatto. Molti passeggeri sopravvissero per qualche istante, fino a quando la carlinga venne scossa da una violenta esplosione. Difficile stabilirne le cause ma da quell’inferno vennero fuori tre persone. Il primo fu Enrico Isoni, muratore 35enne di Cagliari ma residente a Torino, come riportato con dovizia di particolari dall’Unità del 2 gennaio. Isoni uscì da un finestrino sulla parte anteriore della carlinga, miracolosamente illeso, ma appena si rese conto della tragedia fece di tutto per tornare sull’aereo a cercare la moglie, Rosa, e il fratello, Luigi, entrambi morti. Poi fu il turno Eliana Ruggiu, uscita dall’altro lato dell’aereo sulle sue gambe ma avvolta dal fuoco. La donna venne soccorsa dagli abitanti della cascina, che spensero le fiamme che le bruciavano i vestiti e raccolsero le sue suppliche: «Salvate i miei quattro figli e mio marito», disse. Dalle lamiere, però, venne recuperato solo Piero Cotza, cameriere 19enne, in gravissime condizioni e con una mano carbonizzata. Il ragazzo sopravvisse ma le sue tracce e quelle degli altri superstiti scomparirono poco tempo dopo. L’unico dettaglio che si aggiunge alla storia è legato proprio alla famiglia Cotza. Efisio, il padre, era un operaio della Fiat che pare avesse deciso di anticipare il ritorno per permettere ad uno dei figli di sostenere un colloquio di lavoro. Una corsa contro il tempo per garantire un futuro che sarebbe stato interrotto dalla tragedia. Insieme ad Efisio, 47enne, morirono i figli Rosalba, 17 anni, Sandro, 15, e Tiziana,13.
Il volo. Il Fokker F28-1000 decollò dall’aeroporto di Cagliari-Elmas poco dopo le 10.30 del 1 gennaio del 1974. L’aereo avrebbe terminato il viaggio a Ginevra ma il piano di volo prevedeva due scali, a Bologna e Torino. Durante la prima parte del volo non ci furono problemi e il Fokker ripartì da Bologna verso Torino alle 12.40. Poco meno di un’ora dopo il comandante e il suo vice, Domenico Romeo e Giulio Montanari, dovettero fare i conti con un fittissimo banco di nebbia che copriva l’aeroporto di Caselle. L’avvicinamento alla pista avvenne dunque sotto la guida della torre di controllo. Un accorgimento che non bastò ad evitare il disastro perché, come venne stabilito in seguito, i due piloti commisero l’errore di cercare un contatto visivo con il suolo, abbandonando quello che in gergo viene chiamato “sentiero di discesa” e scendendo sotto la quota di sicurezza senza consultare l’altimetro. Fu allora che l’aero urtò la cima di un pioppo e, poco dopo, il tetto di un capannone. Il contatto provocò una sorta di stallo, l’aereo impazzì e iniziò una vorticosa rotazione che portò al distaccamento di un’ala. Completamente fuori controllo, il Fokker si schiantò sul terreno, perse l’altra ala e la fusoliera scivolò capovolta per centinaia di metri, fino ad arrestare la sua corsa sul muro di una cascina, dove si spezzò in due tronconi.
La tragedia. Non tutti morirono dopo l’impatto. Molti passeggeri sopravvissero per qualche istante, fino a quando la carlinga venne scossa da una violenta esplosione. Difficile stabilirne le cause ma da quell’inferno vennero fuori tre persone. Il primo fu Enrico Isoni, muratore 35enne di Cagliari ma residente a Torino, come riportato con dovizia di particolari dall’Unità del 2 gennaio. Isoni uscì da un finestrino sulla parte anteriore della carlinga, miracolosamente illeso, ma appena si rese conto della tragedia fece di tutto per tornare sull’aereo a cercare la moglie, Rosa, e il fratello, Luigi, entrambi morti. Poi fu il turno Eliana Ruggiu, uscita dall’altro lato dell’aereo sulle sue gambe ma avvolta dal fuoco. La donna venne soccorsa dagli abitanti della cascina, che spensero le fiamme che le bruciavano i vestiti e raccolsero le sue suppliche: «Salvate i miei quattro figli e mio marito», disse. Dalle lamiere, però, venne recuperato solo Piero Cotza, cameriere 19enne, in gravissime condizioni e con una mano carbonizzata. Il ragazzo sopravvisse ma le sue tracce e quelle degli altri superstiti scomparirono poco tempo dopo. L’unico dettaglio che si aggiunge alla storia è legato proprio alla famiglia Cotza. Efisio, il padre, era un operaio della Fiat che pare avesse deciso di anticipare il ritorno per permettere ad uno dei figli di sostenere un colloquio di lavoro. Una corsa contro il tempo per garantire un futuro che sarebbe stato interrotto dalla tragedia. Insieme ad Efisio, 47enne, morirono i figli Rosalba, 17 anni, Sandro, 15, e Tiziana,13.