La Nuova Sardegna

«Tracciamento difficile ormai il virus è troppo diffuso»

di Antonio Ledà
«Tracciamento difficile ormai il virus è troppo diffuso»

L’epidemiologo Castiglia, in prima linea contro il Covid, rivede le strategie difensive. «I numeri sono sempre più aleatori, l’unica certezza è che bisogna vaccinarsi»

13 gennaio 2022
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SASSARI. Numeri, grafici, colori. Il covid continua a occupare le prime pagine dei giornali e c’è chi comincia a mettere in dubbio una strategia che all’inizio ha funzionato ma che oggi, alla luce delle dimensioni assunte dalla pandemia, forse deve essere rivista. Ne abbiamo parlato con il professore Paolo Castiglia che dal suo posto alla guida del dipartimento di Scienze Biomediche, Igiene e Medicina Preventiva dell’Aou è, da ormai due anni, in prima linea contro il virus.

Professor Castiglia sui mezzi di informazione non si parla più di pandemia ma di un virus diventato endemico. E’ così? Per quando tempo dovremo convivere col Covid?
«Attualmente siamo ancora in uno stato pandemico, per quanto in transizione grazie all’elevato numero di soggetti immunizzati o per infezione naturale o, soprattutto, per l’imponente campagna di vaccinazione ancora in corso. Per tranquillizzare la popolazione è necessario ribadire subito l’evidenza dell’efficacia dei vaccini nel proteggere dalle forme gravi e dalla letalità».

Ha senso continuare a fare tamponi e tracciamenti?
«Teoricamente sì, ma in pratica il numero dei casi è così elevato che il sistema di tamponamento e tracciamento universale non è più sostenibile. Per questo vediamo modificare di continuo le indicazioni con un progressivo “alleggerimento” delle misure di profilassi nei confronti dei vaccinati».

E’ vero che i tamponi antigenici, quelli usati nelle farmacie e in vendita nei kit “fai da te” non rilevano alcune varianti, compresa la Omicron?
«I tamponi antigenici sono basati su antigeni diversi da quelli soggetti alle mutazioni che hanno aumentato la infettività del virus, pertanto sono in grado di risultare positivi con le diverse varianti. La loro accuratezza in termini di sensibilità e specificità dipende dalla qualità del prodotto, sono infatti raccomandati quelli di seconda e terza generazione, ma bisogna tenere conto che il risultato del test può essere fortemente influenzato anche dalla modalità con la quale questi vengono effettuati».

Alcuni Paesi hanno deciso di non fornire più un report quotidiano di contagi e ricoveri. Effettivamente i bollettini stanno diventando sempre meno attendibili. “Ignorare” il virus può essere una strategia?
«La decisione di distanziare i report non significa “ignorare” il virus, ma operare una corretta scelta comunicativa. L’incremento straordinario del numero dei casi, infatti, porta da un lato a una elevata aleatorietà del dato nella fase ascendente della curva, in particolare per via della succitata difficoltà del sistema a tracciare e riportare il numero reale delle infezioni, pertanto un valore basato su base plurigiornaliera o settimanale è più affidabile. Inoltre, la comunicazione martellante può allarmare eccessivamente la popolazione o, per contro, portare al rischio di un’assuefazione da notizia» .

Se è vero che gli effetti della variante Omicron sono simili a quelli di un raffreddore perchè gli ospedali sono al limite della capienza?
«Non dobbiamo stancarci mai di ribadire che gli ospedali sono intasati per lo più dai non vaccinati che, sebbene rappresentino oggi una minoranza della popolazione, sono raggiunti più facilmente dalla rapida circolazione del virus».

Si era detto che con l’80% della popolazione vaccinata avremmo raggiunto la cosiddetta immunità di gregge. In realtà non è così. Perchè?
«Non è così per due motivi: il primo è che la capacità di riproduzione di base del virus, il cosiddetto R0, sul quale si basa il calcolo per l’immunità di gregge, è straordinariamente cresciuto con le nuove varianti più diffusive; il secondo è che l’immunità di gregge era stata calcolata su un’efficacia del vaccino nei confronti dell’infezione, mentre abbiamo riscontrato che il vaccino esplica la sua maggiore efficacia nei confronti della malattia grave e della letalità piuttosto che sull’infezione e dunque sulla sua diffusibilità».

Vaccinarsi resta la difesa migliore. Che cosa bisogna fare per convincere i no vax?
«Credo che le Istituzioni abbiano detto è fatto quanto era dovuto. Purtroppo, la comunicazione istituzionale non è stata la sola e troppi ne hanno parlato in maniera contrastante. Ritengo che, a fianco agli effetti dell’obbligo, l’incremento esponenziale dei ricoveri che stiamo osservando porterà fra pochi giorni a far emergere la drammatica differenza negli esiti gravi di malattia tra i non vaccinati, aspetto che potrà convincere molti che ancora esitano».

Arriveremo a dover fare un quarto richiamo? E in che tempi?
«Tutto dipenderà dalla circolazione del virus e dalla sua capacità di mutare. La storia naturale sarà quella di un adattamento verso un’infezione endemica che porterà ad epidemie stagionali, come per l’influenza. Ma questo solo quando si sarà raggiunto un giusto equilibrio tra la infettività del virus e il livello di immunità della popolazione. È difficile poter prevedere quando. Se non emergeranno nuove varianti in grado di sfuggire totalmente o in gran parte agli attuali livelli di immunità la velocità con la quale omicron sta circolando può far ottimisticamente pensare ad un equilibrio al termine già di questa stagione fredda».

L’Oms ci ha detto appena ieri che entro i prossimi 2 mesi un europeo su due sarà contagiato. Dobbiamo preoccuparci?
«Dobbiamo preoccuparci innanzitutto per i non vaccinati, che, come detto, pagheranno più di tutti un conto salato in termini di salute. A preoccuparci però è anche la capacità che avranno i servizi sanitari dei diversi Paesi a rispondere a questo nuovo stress, soprattutto in un’ottica di costo-opportunità, in quanto la conversione dell’assistenza verso il Covid-19 porterà nuovamente a ridurre l’assistenza nei confronti di altre patologie».

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