La Nuova Sardegna

L'oristanese Alessio Pitzalis cucina per migliaia di profughi: «È anche la mia guerra: la combatto ai fornelli»

Enrico Carta
L'oristanese Alessio Pitzalis cucina per migliaia di profughi: «È anche la mia guerra: la combatto ai fornelli»

Consulente per ristoranti a Cracovia dopo aver diretto cucine di hotel di lusso in mezzo mondo, una o due volte alla settimana va a Leopoli e prepara cibo a chi scappa dalle bombe

22 marzo 2022
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ORISTANO. Dal giorno della prima bomba, un angolo della cucina dell'Hotel Marriot di Cracovia è diventata una catena di montaggio. La guerra è a duecento chilometri. La frontiera tra Polonia e Ucraina, tra pace e guerra, è oltre l'orizzonte. È da lì che arriva ogni giorno un fiume di profughi, ma c'è anche chi fa la strada al contrario e va a Leopoli, perché quello è lo snodo cruciale della migrazione di chi scappa e cerca riparo nell'Unione Europea.Chi raccoglie i fondi, chi procura il cibo da portare in Ucraina, chi fa viaggiare a mille i fornelli per quelle persone che a Leopoli attendono di poter fare i chilometri verso una nazione amica è un oristanese.

Alessio Pitzalis, 33 anni, a Cracovia fa il consulente per ristoranti, dopo aver diretto le cucine di alcune delle più importanti catene alberghiere del mondo. Poi, «la mattina in cui è scoppiata la guerra ho sentito che dovevo fare qualcosa. Ho chiesto un punto di appoggio e dei macchinari a un amico che dirige il sistema di food and beverage del Marriot qui a Cracovia e mi sono messo al lavoro. Inizialmente pensavamo di poter essere utili alla frontiera, invece o era chiusa oppure, essendo lì il centro di smistamento, i profughi vengono assistiti e inviati direttamente nelle destinazioni all'interno dell'Unione Europea».Allora non è rimasta altra scelta se non quella di passare la frontiera e puntare direttamente su Leopoli, dove, una o due volte alla settimana, Alessio Pitzalis, un cuoco polacco e un autista sessantenne portano migliaia di pasti - in tre settimane hanno distribuito 15mila porzioni di cibo -.

«In Ucraina, oggi, è rimasta solo la parte più povera della popolazione. La parte benestante va via in macchina ed è pronta ad attendere all'estero il momento giusto per poter rientrare. Oltre la frontiera, resta chi non ha la possibilità o la forza di scappare dalla guerra. Bisognava andare a Leopoli ed è lì che siamo stati già diverse volte».

Tutto inizia a Cracovia, dove Alessio Pitzalis procura il cibo autofinanziando la missione o grazie alle donazioni che crescono. Poi sceglie gli alimenti «solo di qualità, perché gli aiuti dell'Unione Europea o delle organizzazioni non governative sono per lo più cibo in scatola o confezionato. È invece importante, in un momento come questo, avere un pasto dignitoso. La maggior parte delle persone che oggi sono ammassate a Leopoli, in attesa di poter lasciare l'Ucraina, sono donne e bambini. Basta questo».Poi inizia la seconda parte del lavoro. Per due o tre giorni gli alimenti recuperati vengono abbattuti, inscatolati e caricati in macchina solo quando c'è un numero alto di derrate da distribuire. Poi ci sono quei 280 chilometri da Cracovia a Leopoli da fare in macchina in compagnia anche di un prezioso gruppo elettrogeno che serve per far funzionare la cucina in strada. «Quando arriviamo - racconta -, ci fermiamo nei punti in cui vediamo delle persone. Scendiamo, ci mettiamo a cucinare e distribuiamo i pasti. Giovedì scorso abbiamo preparato circa quattromila porzioni di cibo, con cui abbiamo dato da mangiare a circa duemila persone. Prepariamo alimenti molto calorici, perché gli sfollati devono fare i conti col freddo».

E di conti bisogna ben presto farne anche con l'anormalità di una situazione disperata. «Avevamo con noi duemila uova - prosegue -, sembrava che stessimo distribuendo oro in tempo di pace. Volevano disperatamente quelle uova. Capiamo cosa vuol dire spingersi, quasi azzuffarsi per avere un uovo, un semplice uovo? E non c'è bisogno solo di mangiare. Abbiamo portato venti chili di caramelle, perché ci sono i bambini con le loro mamme lì. Abbiamo suonato un po' di musica, perché c'è anche bisogno di qualche secondo di leggerezza. Ce n'è bisogno anche in mezzo alla guerra e a chi dice che questa non è la mia guerra, rispondo che questa è la nostra guerra. Non la combatto con le armi, ma cos'altro è se non la nostra guerra? La frontiera polacca oggi, per me, è come se fosse il mare della Sardegna».È per questo che tra Cracovia e Leopoli la strada scorre più veloce, «ma anche perché è bello scoprire che tante persone ci stanno aiutando con delle donazioni. Ogni viaggio costa molto e da soli non ce la faremmo. Chi ci vuole dare una mano, può contattarmi direttamente». E domani, se la guerra ancora lo permette, si riparte con altre settemila porzioni.

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