La Nuova Sardegna

Solinas a Draghi: "No al decreto energia"

Giuseppe Centore
Christian Solinas
Christian Solinas

In una lettera il Governatore della Sardegna spiega al premier il punto di vista della Regione

25 marzo 2022
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CAGLIARI. Mentre a Roma si completa il percorso istituzionale del decreto "Sardegna-energia", il presidente della Regione Christian Solinas rompe gli indugi e invia una lettera definita «lunga e articolata» al premier Mario Draghi dove si ripercorre la storia delle politiche energetiche e industriali dell'isola e si fissa «in maniera chiara quale è il punto di vista della Regione, senza conflitti ma offrendo una leale collaborazione per arrivare in poche settimane a un testo concordato».Solinas in questa intervista parla dei progetti presentati dai grandi player nazionali, delle scelte fatte dalla sua amministrazione, dei ritardi della burocrazia e della politica e in più punti avanza il timore che anche questa partita veda il sistema sardo indebolito e periferico.

Quando manderà la nota a Draghi e cosa ci sarà scritto?

«Nelle prossime ore la invierò al presidente del Consiglio per ristabilire la verità storica dei fatti e non delle opinioni: la Sardegna in questi anni non è stata lenta nè ha fatto melina, semmai ha subìto scelte schizofreniche. C'è un patto (quello tra Pigliaru e Renzi firmato ad Alghero nel 2016, ndr) mai disconosciuto da alcuno, che prevedeva la metanizzazione dell'isola attraverso la dorsale e il collegamento di questa ai diversi bacini sparsi in tutto il territorio. Abbiamo assecondato questo percorso, accelerando tutte le nostre procedure autorizzative, ma in questi anni sono cambiati ministri, ministeri e competenze. Siamo arrivati al punto che società controllate dello Stato abbiano, in maniera del tutto estemporanea, disegnato dei progetti che riguardano l'assetto energetico dell'Isola e che preconizzerebbero un passaggio dal fossile all'elettrico tout-court, senza alcuna transizione e senza alcuna credibile garanzia per il sistema».

Si riferisce al progetto "Sardegna isola verde", illustrato dall'amministratore delegato del gruppo Francesco Starace al nostro giornale?

«Sì. Intanto non è ben chiaro come saranno garantiti i livelli occupazionali della centrale di Portovesme con il posizionamento di grandi accumulatori: parliamo di 500 lavoratori in un territorio già martoriato. In quei documenti si parla di 1 miliardo di investimenti, ma non si dice che quei soldi non li mette Enel, ma sono a carico dei cittadini, in un momento dove il rincaro delle bollette è già insostenibile. Non si comprende perché qui si dovrebbero smantellare le centrali per sostituirle con grandi batterie di accumulo, mentre in Sicilia le si riconverte a gas. Queste scelte compromettono peraltro anche potenziali investimenti privati, che non graverebbero sui contribuenti sardi, come quelli su Fiumesanto, dove Ep ha dichiarato la disponibilità ad investire sulla riconversione in un quadro di certezze normative e prospettive chiare. Anche per queste ragioni quella proposta di decreto va perfezionata, ora».

Come lo volete cambiare?

«Ci sono tre punti per noi irrinunciabili. Il primo è la tariffa. Dopo decenni nei quali i cittadini e le imprese sarde hanno pagato regolarmente l'energia più cara che nel resto del paese, non posso accettare che in un momento nel quale sono disponibili risorse enormi per la transizione energetica, non si restituisca pari diritti e pari dignità a tutti, e sottolineo tutti, i sardi. Non vogliamo elemosine ma solo essere messi nelle stesse condizioni degli altri italiani. La tariffa perequata è per noi fondamentale. Questo decreto non da sufficienti garanzie in questo senso, soprattutto per i bacini non ancora avviati. Secondo, il sistema energetico deve avere stabilità e robustezza, per dare certezze alle imprese e salvare quel poco che è rimasto del comparto industriale. Terzo, per un'Isola come la nostra non è pensabile o accettabile perdere di fatto l'autonomia energetica. Se questa viene compromessa non troverà mai la Regione concorde».

La Sardegna produce più di quanto consuma, in un mix di fonti energetiche che vede in prima fila le rinnovabili. Produciamo il 40 per cento in più di quello che ci serve, e lo esportiamo.

«Per questo è paradossale e intollerabile che continuiamo a pagare di più per l'energia che produciamo. Abbiamo raggiunto gli obiettivi di implementazione delle rinnovabili, ma per assurdo più produciamo "verde" più paghiamo le bollette. Per questo il decreto deve contenere un quarto fondamentale elemento: le compensazioni».

Il decreto è in discussione da sei mesi. Il ministro Cingolani dichiara di aver partecipato a riunioni con la Regione per diverse decine di volte. Ma vi è caduto dall'alto o ne avete comunque condiviso una parte?

«Abbiamo discusso con spirito di leale collaborazione con il ministro e con gli uffici, ma il testo finale non ha avuto la nostra condivisione. Le bozze di cui avete scritto si distanziano dalle nostre esigenze per altri punti irrinunciabili. Per come è strutturato, consente una sostanziale compromissione dell'intero territorio regionale con impianti che non rispondono ad una ordinata programmazione, che sarà invece la base della legge sulle aree idonee che il Consiglio regionale dovrà approvare per bilanciare le esigenze del phase-out con le ragioni della conservazione paesaggistica, ambientale e delle vocazioni urbanistiche del territorio».

Ma quando sarà votata dal Consiglio regionale la legge sulle aree idonee?

«Il ministero deve emanare un decreto attuativo, poi tocca a noi. Sappiamo che c'è l'esigenza di fare in fretta, per rispettare gli obiettivi della decarbonizzazione, ma non possiamo essere sempre noi a portare il fardello delle responsabilità: la Sardegna ha fatto nei secoli fin troppo la parte responsabile, dal disboscamento sabaudo per alimentare lo sviluppo delle reti ferroviarie nella Penisola, alle militari e poi ancora quelle industriali. L'Italia ha assunto impegni in tema di decarbonizzazione, ma non si può pensare che il prezzo lo paghi la Sardegna sola, ospitando impianti di rinnovabili che alimenteranno attraverso i cavidotti vecchi e nuovi, come il Thyrrenian Link, i consumi di altre aree del Paese e senza una adeguata compensazione. Non abbiamo una posizione di obiezione a priori ma riteniamo che si debba discutere di una contropartita che per una volta vada a vantaggio della Sardegna e dei Sardi».

Quindi il binomio rappresentato dal cavo e dalle batterie non vi convince.

«Guardi che anche con le batterie e il cavo servirà un mix di produzione da fonti differenziate e verosimilmente non si potrà spegnere il termoelettrico così facilmente. Noi siamo per un obiettivo green e per le rinnovabili, ma riteniamo vada tracciato un percorso graduale, credibile e rassicurante per tutti. Siamo molto interessati, ad esempio, a potenziare l'idroelettrico. Perché tra le rinnovabili, alcune sappiamo fin d'ora che presenteranno criticità in futuro: pensi a quando dovremo smaltire i pannelli di silicio o le batterie di accumulo. Mica andranno fuori questi rifiuti inquinanti, ce li dovremo tenere, e vorrei ragionare, adesso, su come salvaguardare i nostri territori».

Però l'addio al carbone è un dato acquisito, o almeno lo era sino a un mese fa.

«Il mondo è cambiato in poche settimane, le certezze di un tempo stanno cadendo. I verdi in Germania hanno accettato lo slittamento dello spegnimento delle loro centrali a carbone nel 2035. Sa però quale è la principale differenza tra loro e noi?»

Me lo dica lei.

«I tempi delle decisioni. Da un po' sento ripetere ragionamenti che attribuiscono alle Regioni la principale responsabilità delle lentezze autorizzative. Non è vero. Le lungaggini e i rallentamenti per la realizzazione dei progetti derivano da una legislazione farraginosa e stratificata in maniera disordinata, per larga parte di produzione statale e utilizzata dalle burocrazie ministeriali per riappropriarsi di competenze ormai consolidate in capo alle regioni. Siamo stati i primi a dire che se vogliamo spendere i soldi del Pnrr dobbiamo fare prima di tutto una grande e profonda semplificazione amministrativa, anche per liberare dalla "paura della firma" tanti funzionari».

Quindi la Regione si tira fuori da ritardi e inadempienze su tutta la partita delle autorizzazioni sul fronte energetico?

«La prova sta nel percorso autorizzativo della dorsale. Il tratto sud è andato veloce come un treno; a nord i problemi sono nati da un evidente conflitto tra Enel e Snam. Noi abbiamo potuto soltanto assistere allora, ma non voglio che diventiamo parte lesa adesso. Vogliamo condividere il progetto energetico per la Sardegna. Sappiamo che ci sono sensibilità diverse, sfumature su alcuni temi particolari tra le parti sociali, le associazioni ambientaliste, i principali stakeholders, ma su questi temi serve condivisione e prudenza; quando si imbocca una strada è poi difficilissimo cambiare percorso, ecco perchè vogliamo garanzie e certezze».

E se il governo decidesse di andare avanti e non accogliesse i suggerimenti contenuti nella sua lettera?

«Non credo che il governo e il premier Draghi, che so molto sensibile al rapporto di leale collaborazione e correttezza con le Regioni voglia andare allo scontro su un tema così importante. Se però ci trovassimo il decreto firmato si aprirebbe l'esigenza di tutelare le competenze e le prerogative della Sardegna di oggi e di domani».

Non esclude un ricorso alla Corte Costituzionale?

«È interesse di tutti trovare una intesa che tuteli la specialità della Sardegna. Non si tratta di riscrivere daccapo il decreto, ma di trovare quei passaggi necessari su tariffe, autonomia, stabilità e compensazioni che lo rendano strumento virtuoso per lo sviluppo dell'isola. Ritengo giusto che la Sardegna abbia delle compensazioni, soprattutto a fronte di un incremento delle rinnovabili nel territorio, che sarebbe occupato per diverse centinaia di ettari da questi impianti».

Quali compensazioni consentirebbero, oltre ai tre elementi il via libera al decreto?

«Penso a una società pubblica sarda dell'energia che incameri delle royalties o delle quote di produzione delle rinnovabili e con quel pacchetto di energia alimenti il settore pubblico regionale. Un percorso virtuoso prevede che la Sardegna individui le sue aree dedicate, consenta lì le installazioni di rinnovabili e riceva in cambio uno stock di energia per le scuole, gli ospedali, i comuni. Non possiamo sempre offrire il nostro territorio senza ricevere nulla in cambio».

@gcentore©RIPRODUZIONE RISERVATA

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