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L’ultimo viaggio

«Il cane e il suo padrone, legame che va oltre la morte»

Luigi Soriga
«Il cane e il suo padrone, legame che va oltre la morte»

Il sassarese Andrea Loriga si occupa dell'ultimo viaggio degli animali. «La separazione è difficile, i proprietari vogliono un'urna da conservare»

24 giugno 2022
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SASSARI. Ogni volta che entra in una casa lo fa in punta di piedi. Sa bene che il dolore che si respira avrà una densità sempre diversa. Andrea Loriga, 43 anni, sassarese, da tre anni è la persona che per l'ultima volta prende in braccio un cane, gli dà l'ultima carezza prima di spedire l'anima sul ponte arcobaleno e riconsegnare ciò che resta ai proprietari. Cioè un sacchetto di cenere sottile e bianca come farina, da conservare all'interno di un'urna e in un pertugio del cuore. Forno crematorio per animali, 280 euro tariffa base, sino al pacchetto exclusive, full optional, da 2500 euro. E un'urna per avere l'amico a quattro zampe sempre con sè: in casa, sul comodino, nel giardino e anche dentro la propria tomba.

Emma, la mia cura. «Io per primo - dice Andrea Loriga - so quanto è difficile separarsi da un cane e quanto può essere profondo il legame che si instaura. Un mese fa è morta Emma. Era un bellissimo rottweiler, ho condiviso con lei dodici anni della mia vita. Lavoro con i cani, ne ho avuti tantissimi, ma lei per me resterà unica. Perché nel 2011, quando mi sono ammalato di tumore, piegato in due dai dolori e dalla chemio terapia, ai piedi del mio letto, a vegliare sempre su di me, a coccolarmi, a darmi due leccate quando mi lamentavo, c'era sempre lei. Non mi ha abbandonato un'istante, è stata la mia ombra. I cani sono capaci di dare un amore infinito e incondizionato, ed è davvero doloroso quando questo viene a mancare». Ecco perché i lutti sono anche a quattro zampe, e chi li vive non può considerarli di serie b. Sono ferite aperte nella vita, e portano con sé la medesima tristezza e intensità. E le storie dietro la morte di ogni cane non sono mai uguali.

L'urna da viaggio. «Un giorno mi ha chiamato una signora. Aveva una villa bellissima vicino alla Valle della Luna, a Santa Teresa. Dovevo ritirare il suo cagnolino, un meticcio di piccola taglia. Ma prima di cremarlo lei mi ha fatto una raccomandazione: ho girato mezzo mondo, lavoravo per il Parlamento europeo, e il mio cane ha sempre viaggiato con me. E anche ora che non ci sarà più, vorrei continuare a portarlo con me. Quindi mi servirebbe un'urna piccolina, da viaggio, da poter tenere dentro la borsetta. Per me sarebbe un modo per viaggiare sempre insieme a lui».

Con me nella tomba. Altra storia: «Il cane, qualche anno prima, gli aveva salvato la vita. Dormivano in una stanza, lui e questo piccolo barboncino, mentre la moglie dormiva in un'altra camera. A un certo punto l'uomo, che avrà avuto una cinquantina d'anni, ha avuto un attacco di cuore, ha perso conoscenza. Il cane prima ha iniziato ad abbaiare e poi è andato nella stanza della moglie a guaire e ad attirare la sua attenzione. Se sono ancora qui, mi aveva raccontato quell'uomo, lo devo al mio cane. Perché ha fatto in modo che i soccorsi arrivassero in tempo. E nel mio testamento ho specificato che le sue ceneri vengano messe dentro la mia stessa tomba. Ci sono molte persone che vogliono accanto il proprio cane anche nell'aldilà. Qualcuno anche chiede che le ceneri vengano posate all'interno della propria bara. E se fate un giro nel cimitero di Sassari vi capiterà di imbattervi in una tomba con due foto: una è di una signora, e l'altra è del suo cane».

L'ultimo amico. «Si chiamava Charlie, era un espaniol breton spettacolare, aveva 19 anni, quindi vecchissimo, almeno come il suo padrone. Un novantaduenne col cuore a pezzi, tristissimo, che prima di consegnarmi il cane mi ha detto: mi dispiace davvero tanto non averlo più con me, è l'unico affetto che mi è rimasto. Però allo stesso tempo sono contento che se ne sia andato prima di me, perché non sarei morto tranquillo. Non avrei saputo a chi affidarlo e che fine avrebbe fatto. E questo non mi avrebbe dato pace».

Il cane del figlio. «Mi avevano chiamato per una cremazione. Era un anziano boxer. Quando sono entrato nella casa, ho visto una signora sdraiata per terra, accanto al cane, piangendo disperata. Nonostante mi avesse contattato proprio lei, ora non riusciva a separarsi da quell'animale. Il marito, anche lui addolorato, mi ha preso in disparte: "Era il cane di nostro figlio, che è morto prematuramente due anni fa". Il cane, per loro, era l'ultimo legame simbolico con il figlio che non c'è più».

Il rito. La cremazione ha una sua ritualità. Non è un'operazione asettica, e non è uno smaltimento. Se le persone sono disposte a spendere 250 euro, oppure anche 1000 o 2500 per avere in esclusiva il forno crematorio, è perché la separazione ha bisogno di intimità e parole di addio. «C'è la stanza del commiato, dove i proprietari possono vedere attraverso uno schermo tutta la procedura. Molti mi consegnano il cane avvolto nella sua coperta preferita, o con i giochini, o con il biscotto di cui andava ghiotto. Una volta un cane era adagiato su un cuscino di fiori bianchi, un'altra volta mi è capitato che la padrona non sopportasse che venisse inserito in un sacco o in una coperta, e allora aveva comprato la bara di un bambino. Sono scelte che possono sembrare bizzarre, ma io ho imparato ad avere estremo rispetto per il dolore altrui e per il modo in cui ciascuno elabora la morte del proprio animale. Un gioielliere di Sassari ha voluto che fosse estratto il canino inferiore per farne un ciondolo prezioso. Per questo, nel momento dell'ultimo saluto, io tratto i cani con lo stesso rispetto che userei per una persona. Li prendo in braccio, avvio la musica di "No potho reposare", li adagio delicatamente all'interno del forno. So che nell'altra stanza, dall'altra parte del video, ci sono i persone che piangono. Le mie mani, è come se fossero le loro».

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