La Nuova Sardegna

Sanità

A Sassari torna l’emergenza: pronto soccorso di nuovo in tilt

Luca Fiori
A Sassari torna l’emergenza: pronto soccorso di nuovo in tilt

Il nuovo aumento dei contagi fa crescere la pressione sul Santissima Annunziata Alcuni pazienti sono stati dirottati sugli ospedali di Tempio e Ozieri

30 giugno 2022
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Sassari Aumentano i contagi, diminuiscono i medici sul campo e il conto è presto fatto, il pronto soccorso si inceppa, rallenta, va il tilt e alla fine si sfiora il collasso. A pagare i disagi della sanità pubblica, come sempre, sono i cittadini. E tra i cittadini oltre a quelli esausti e doloranti in sala d’attesa ci sono anche quelli in camice, costretti - con turni massacranti e riposi saltati - a tenere a galla sulle proprie spalle una barca quasi sempre in difficoltà, ma che non può permettersi di andare a fondo.

È successo ancora una volta e la storia si ripete puntuale ogni estate. Negli ultimi due giorni vista la difficoltà nel gestire il gran numero di pazienti in attesa - molti dei quali positivi al covid - la responsabile del pronto soccorso dell’ospedale civile “Santissima Annunziata” di Sassari si è vista costretta a chiedere alla centrale operativa del 118 di dirottare sugli altri presidi sanitari del nord Sardegna i casi meno gravi. Così ieri mattina un’ambulanza diretta da Nulvi a Sassari ha dovuto cambiare rotta e invece di puntare verso viale Italia ha avuto disposizioni di trasportare un anziano paziente all’ospedale di Tempio. Ad altre ambulanze è stato chiesto di accompagnare i malati a Ozieri o ad Alghero perché a Sassari era già stato raggiunto il livello di guardia. I primi disagi e le inevitabili lamentele - arrivate anche al nostro giornale - hanno iniziato a manifestarsi lunedì sera, quando in sala d’attesa si sono ritrovati una sessantina di pazienti in fila. Negli ultimi dieci giorni quando i casi di covid hanno ripreso a salire, la macchina del più importante punto di riferimento della medicina d’urgenza del centro-nord dell’isola, ha iniziato ad arrancare. Dei tre medici presenti durante ogni turno di lavoro il terzo professionista, quello che fino a pochi giorni fa si occupava della zona “sporca” (con i pazienti covid) che ormai era quasi vuota e grazie a questo poteva dare una mano ai due colleghi impegnati nella zona “pulita”, ora deve gestire praticamente a tempo pieno un’area in cui in questo momento ci sono una decina di pazienti in attesa di ricovero e non c’è posto per nuovi ingressi. Le file più lunghe si verificano solitamente i primi giorni della settimana. E questo perché la prassi consolidata di non dimettere i pazienti il sabato e la domenica crea un ingorgo che si ripercuote - specialmente il lunedì e il martedì - sul lavoro dei medici del pronto soccorso. Impossibilitati a ricoverare i malati nei vari reparti intasati (dove spesso si arriva ad avere occupati anche i cinque posti in barella nei corridoi) ma costretti a occuparsi di quelli che diventano comunque degenti a tutti gli effetti, i medici del pronto soccorso devono spesso sostituirsi ai colleghi dei reparti di degenza. Perché dopo ore e ore di attesa (a volte giorni) i pazienti necessitano di valutazioni, rivalutazioni e naturalmente di terapie. L’ingorgo si crea perché ai malati che attendono il ricovero si aggiungono poi gli ingressi quotidiani, che in estate naturalmente aumentano. Tre medici (che ultimamente diventano quasi sempre due a causa del covid) davanti all’assalto di cinquanta e a volte sessanta persone per turno sono effettivamente pochi e può capitare che vadano in affanno, come è successo ieri e due giorni fa. Nel pronto soccorso di Sassari sono una ventina i medici in organico, che ogni giorno devono coprire (tre per turno) le tre fasce della giornata: mattino, pomeriggio e notte. A questi nove vanno aggiunti i due che si dividono le 24 ore nel repartino interno denominato Obi (osservazione breve intensiva) e i tre “smontanti”, quelli che hanno lavorato per dodici ore di fila durante il turno di notte e alle otto del mattino tornano a casa per riposarsi. Il totale fa quattordici e in teoria ne avanzerebbero sei per arrivare a venti. Ma a venti non si arriva perché due dottoresse in questo momento sono in maternità e l’azienda non le ha ancora sostituite. E poi ci si mette l’incognita covid. In questi giorni due medici sono risultati positivi al virus e sono naturalmente in malattia. Altri tre sono in vacanza, perché anche i medici hanno diritto a riposare e anche le aziende sanitarie - come tutte le altre - chiedono ai propri dipendenti di smaltire i giorni di ferie. Così invece che a venti si arriva a tredici e quei tredici medici negli ultimi giorni - proprio quando il covid a ripreso a bussare con prepotenza alle porte degli ospedali - sono stati costretti a saltare il giorno di riposo per non far affondare la barca in difficoltà. Gli utenti però questo non lo sanno e non sono tenuti a saperlo e quando si recano al pronto soccorso hanno tutto diritto di ricevere l’assistenza sanitaria necessaria. Ma il loro interlocutore non può essere un professionista in camice, chiamato a visitare nel corso di una sola notte anche una quarantina di pazienti. Oltre a cercare di salvare le vite delle persone, il medico non può però anche essere il parafulmine di un sistema che evidentemente non funziona.




 

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