La Nuova Sardegna

Statuto speciale

«Nel 1948 servì per il Piano di rinascita, oggi bisogna puntare sulle vere peculiarità»

di Andrea Sini
«Nel 1948  servì per il Piano di rinascita, oggi bisogna puntare sulle vere peculiarità»

Intervista con Ilenia Ruggiu, docente di Diritto costituzionale, che analizza il percorso storico dello Statuto: «Cultura e lingua sono esempi di materie che potrebbero essere di competenza esclusiva »

20 novembre 2022
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Sassari Il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Roberto Calderoli ha spiegato che «l’Autonomia consentirà alle Regioni che vanno meno veloci di mettersi al passo con quelle che corrono. È lo Stato centrale che ha fallito finora accentuando le disparità. Il Paese, oggi, non viaggia a due velocità, ma a 4 o 5 velocità. Non è colpa dell'Autonomia che ancora non c’è, ma di come è stato gestito finora».

Professoressa Ilenia Ruggiu, a che velocità viaggia la Sardegna a proposito di autonomia e di attuazione dello Statuto speciale?
«In generale direi abbastanza indietro. La nostra regione non è arrivata a 30 leggi d’attuazione dal 1948 a oggi. Il paragone con le altre regioni a Statuto speciale, in particolare il Trentino, spiega abbastanza bene cosa si sarebbe potuto fare e non si è fatto».

Le responsabilità di questo ritardo sono dello Stato centrale o delle varie amministrazioni che si sono succedute alla guida della Regione?
«Non parlo di responsabilità. Mi viene in mente il fatto che la Sardegna ha pochi abitanti e, in termini assolutamente generali, non ha mai avuto un potere negoziale particolarmente forte nei confronti dello Stato. Ma questa è solo una delle possibili considerazioni, se si tiene presente che anche la Sicilia, che ha molti più abitanti della Sardegna, non ne ha comunque molte di più».

Delle 23 materie di competenza statale che possono essere devolute alle Regioni, in quale direzione si è sviluppata maggiormente l’autonomia sarda?
«I materia di sanità la regione al momento ha piena autonomia, ma c’è anche da dire che negli ultimi decenni l’input a regionalizzare la sanità è arrivato prima di tutto dallo Stato».

In che direzione si può spingere maggiormente?
«Un po’ su tutto, considerando che le norme di attuazione servono a far sì che la Regione possa prendersi in concreto la competenza di quella determinata materia. Per questioni legate alle dinamiche dell’Unione Europea, negli anni la Sardegna ha perso molta autonomia sulle politiche agricole, e su questo non so quanti margini potranno esserci in futuro. Ma anche sui trasporti si può certamente provare a ottenere qualcosa di più aderente alla specialità insulare della nostra regione».

Quale materia sinora è rimasta completamente fuori dai giochi?
«Attualmente il nostro statuto si basa sulla specialità economica del territorio. È un documento che risale al 1948 e a quel tempo specialità significava quasi esclusivamente una cosa: piano di rinascita, cioè portare fuori la Sardegna dal medioevo economico nel quale si trovava».

Bersaglio centrato?
«In generale sì, la Repubblica ci è riuscita e ci ha traghettato fuori da quella condizione di miseria, ma in questo percorso di ammodernamento della società sarda è stata di fatto lasciata per strada l’attenzione alla cultura, elemento sì davvero specifico: penso alla lingua, che ha subito un processo di oblio almeno sino agli anni 90, quando sono state approvate leggi organiche di sistema sulla lingua. Credo che la lingua, il patrimonio culturale, una specialità unica e assoluta come i beni nuragici, se inserite tra le competenze esclusive della Regione potrebbero diventare oggetto di leggi in grado di costruire un'economia turistica e un modello di tutela che oggi è di competenza statale».

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