La Nuova Sardegna

La patologia

Cercando normalità sulla sedia a rotelle e senza poter mangiare né bere

di Michela Cuccu
Cercando  normalità sulla sedia a rotelle e senza poter mangiare né bere

La storia di Simona, colpita da una malattia rara

30 marzo 2023
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Ales Simona non può più mangiare né bere. Da tre anni una sonda inguinale le porta gli alimenti direttamente in vena. Non mangia ma vuole vivere e di progetti ne ha tanti. Quarantasei anni, due figli («uno è del mio compagno, nato da una precedente relazione, ma per me - dice - è figlio a tutti gli effetti») ha sempre affrontato con coraggio le conseguenze della Cipo, malattia rara neurologica che l’ha portata alla paralisi dell’apparato intestinale e, tre anni fa, anche l’asportazione dello stomaco. Una condizione complicata non solo per lei : in Sardegna sono circa una decina le persone che come lei vivono grazie all’alimentazione parenterale; alcune centinaia invece sono alimentate per via enterale, con una sonda che va direttamente allo stomaco o all’intestino. «Non sappiamo esattamente quanti siano i sardi alimentati enteralmente – dice – il censimento della Regione è rimasto in un cassetto: peccato, sarebbe stato utile per una gestione migliore dell’assistenza e anche per noi che facciamo volontariato».

Sì, perché Simona milita con ANNA, l’Associazione nazionale nutriti artificialmente. «Il volontariato è fondamentale – dice – tra associazioni facciamo “rete” e ci si aiuta reciprocamente. Da poco abbiamo fatto in modo che un ragazzino di Olbia ricevesse i farmaci per l’epilessia introvabili nelle farmacie isolane». Eppure lei, che viveva al Nord Italia, ha deciso di trasferirsi in Sardegna per vivere a Zeppara, piccola frazione del Comune di Ales dove già abitava il padre. «Lui ha 80 anni, ci ha accolti volentieri, lasciando che l’arrivo mio, del mio compagno e due ragazzi adolescenti gli rivoluzionassero la vita», dice Simona che di cognome fa Tuveri.

Racconta: «Abitavo a Genova, ma quando le mie condizioni di salute sono peggiorate, la città era diventata troppo grande per me. Il mio compagno fece domanda di trasferimento e in due mesi siamo arrivati qui, dove la mia vita è resa possibile da un sistema assistenziale che non c’è altrove», dice. «La Regione Sardegna, terra ad alta incidenza di malattie rare, si è organizzata con leggi che garantiscono l’assistenza. È il caso del programma regionale Rac "rientrare a casa" che invece di costringere le persone negli istituti, gli permette di restare nella propria casa e con la propria famiglia».

Simona ha sempre cercato di andare avanti: «Avevo 17 anni quando i medici mi dissero che non avrei potuto né dovuto avere dei figli . Quando a 26 mi accorsi di essere rimasta incinta, pensai ad un miracolo e decisi di tenere questo bambino contro il parere negativo di tutti, a parte mio padre che mi capì, affrontando mille complicazioni e trascorrendo la mia gravidanza in ospedale. Oggi lui ha 20 anni e studia ingegneria». Simona aveva quel che si dice “un buon lavoro”: «Facevo la tour operator, girando il mondo con la mia valigia piena di cateteri – racconta – ho continuato a lavorare fino alla fine e speravo di continuarlo a fare. Quando però venni dichiarata “inabile al lavoro” fu una mazzata. Del resto, molto tempo lo devo occupare nell'applicare e sostituire i cateteri, inoltre, le terapie molto pesanti contro il dolore alle quali sono costretta, non mi permettono di affrontare un’intera giornata di lavoro».

Di mazzate Simona ne ha ricevute tante dalla vita. Come quando le asportarono lo stomaco. «Ero disperata – dice – mi chiedevo come avrei fatto, temevo di isolarmi definitivamente, costretta a rinunciare alla convivialità che nella nostra società è fondamentale. Devo ringraziare lo psicologo che mi aiutò a superare tutto questo, anzi, mi spinse a cucinare spiegandomi che anche i pittori dipingono per gli altri. Oggi cucino come se dovessi dipingere un quadro. Qualche volta non resisto e assaggio. Poi però devo farmi un’iniezione per non star male». La chiacchierata si conclude con una raccomandazione: «Se scrivete di me non definitemi una “guerriera”: è un termine che non mi piace. Scrivete che sono una donna che si sposta su una sedia a rotelle, alla ricerca della normalità».


 

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