La Nuova Sardegna

I misteri della strage

Caso Ustica: il maresciallo sardo che era nella sala radar e quel suicidio a cui nessuno ha mai creduto

Caso Ustica: il maresciallo sardo che era nella sala radar e quel suicidio a cui nessuno ha mai creduto

Le diramazioni nell’isola dell’inchiesta nelle cronache de “La Nuova Sardegna”

03 settembre 2023
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La Nuova Sardegna si è occupata di frequente della strage di Ustica, puntando i fari su una serie di morti sospette, tra cui quella del maresciallo dell’aeronautica, Alberto Mario Dettori, che si trovava nella sala radar di Poggio Ballone quando avvenne la tragedia. Dettori venne poi trovato impiccato. La versione ufficiale parlò di suicidio.

Quella parte della storia della strage di Ustica venne raccontata con precisione e puntualità da Piero Mannironi. Qui riproponiamo un brano di uno degli ultimi articoli dedicati da Piero all’argomento.

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Quella di Ustica non è solo una strage. O meglio, non è soltanto la morte delle 81 persone che, il 27 giugno del 1980, si trovavano a bordo del Dc 9 dell’Itavia Bologna-Palermo, finito in mezzo a un agguato internazionale, pianificato da alcuni Paesi della Nato, per eliminare il dittatore libico Muammar Gheddafi. Ustica è infatti molto di più. È una spietata macchina infernale occulta che, per molti anni, ha umiliato la verità, ha avvelenato la democrazia, nascondendo prove alla magistratura e alle istituzioni repubblicane, intimidito chi sapeva e rubato la vita di chi poteva o voleva parlare. Quasi una malattia, un’infezione maligna che è arrivata fino ai gangli più segreti dello Stato. Ecco perché non ci sono soltanto i morti di Ustica, ma anche coloro che “sono morti di Ustica”. Per il giudice Rosario Priore sono almeno 13 gli uomini la cui fine misteriosa è riconducibile alla tragedia del Dc 9 Itavia. (...) Una di quelle tredici vittime dimenticate è il maresciallo di seconda classe dell’Aviazione militare Mario Alberto Dettori. Sardo di Pattada, aveva 32 anni nel 1980. Il suo incarico operativo era “assistente controllore di difesa aerea”. (...) Quando il pomeriggio del 31 marzo del 1987 lo trovarono impiccato a un albero, quelli che lo conoscevano bene non credettero che si fosse tolto la vita. La tragica sera del 27 giugno 1980 Alberto Dettori è di turno al radar di Poggio Ballone, vicino a Grosseto. Quindi, vede tutto. Sul suo monitor segue quel punto luminoso lampeggiante con il codice militare identificativo AJ421. È il Dc 9 Itavia, che si avvicinava al cosiddetto “punto Condor”, cioè un buco nero nella copertura radar del traffico civile nel basso Tirreno. Poi sugli schermi vede improvvisamente saettare un nugolo di punti luminosi intorno al Dc9. Per lui quelle piccole luci non hanno segreti: sono jet militari. Così, quando vede la traccia AJ421 spegnersi, capisce che 81 persone stanno precipitando nel mare di Ustica e nella notte della morte. (...) La mattina del 28 giugno, Alberto Dettori torna a casa stranamente agitato, nervoso.

Carla, la moglie, lo conosce molto bene e capisce subito che è accaduto qualcosa di grave. Lui indossa ancora la divisa quando prendono il caffè in cucina. Carla è preoccupata e chiede se sia successo qualcosa, ma lui si limita a dire: «È successo un casino, qui vanno tutti in galera». Dopo pochi minuti arriva in casa la sorella di Carla Pacifici, Sandra. Hanno appuntamento per andare al mare tutti insieme al mare, a Castiglione della Pescaia. Vede il cognato turbato e cerca di tranquillizzarlo. È in quel momento che lui sibila: «Stanotte siamo stati a un passo dalla guerra! Capite? Dalla guerra!». (...) E per costruire il mosaico della morte di Dettori assumono rilevanza altri episodi. Come quello riferito dalla figlia Barbara: «Nel 1981 era morto, ucciso a 32 anni da un infarto, un collega di mio padre, il capitano Maurizio Gari. Quando babbo tornò dal suo funerale era distrutto. Mia madre cercò di consolarlo, ma lui le rispose dicendole che era toccato prima a Maurizio e che poi sarebbe stato probabilmente il suo turno». Gari era insieme a Dettori nella sala di controllo di Poggio Ballone la notte di Ustica. Di più: ne era il responsabile. (...) Nell’aprile del 1986 il maresciallo di Pattada viene mandato in missione per sei mesi alla base di Roquebrune-Cap Martin, in Costa Azzura. La sua sede operativa è Monte Agel, dove si trova il sito radar. E qui accade qualcosa che lo cambia profondamente. Improvvisamente accusa una serie di malesseri: fortissime cefalee, vertigini e mal di denti. Poi, comincia ad avere comportamenti strani. Sembra impaurito. (...) L’indomani Dettori torna a casa. Alla stazione la moglie trova un uomo cambiato, spaventato. «Era come se gli avessero fatto il lavaggio del cervello» dirà Carla Pacifici a Priore. Alberto ha paura di essere sorvegliato, spiato: arriva al punto di smontare i telefoni alla ricerca di microspie. (...) La mattina del 31 marzo 1987 Alberto Mario Dettori esce di casa alle e otto e un quarto. (...) Le ore passano e lui non torna. Carla si preoccupa e chiede a un amico di accompagnarla per cercarlo. Ha un brutto presentimento. Alle 17, in località Sassi Bianchi, a poca distanza dal fiume Ombrone, trovano il furgone di Alberto e, a pochi metri, il suo corpo che penzola dal ramo di un albero. Nessuno si chiede come ha fatto ad arrampicarsi per tre metri, oppure se aveva graffi sulle mani. Nessuno ritiene di fare l’autopsia o una perizia tossicologica. O se sotto le sue unghie ci sia il Dna di qualcuno. Il suo caso viene frettolosamente archiviato: suicidio. Sulla spinta della famiglia, però, il caso è stato riaperto nel 2017.
 

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