La Nuova Sardegna

Una città e le sue storie
Una città e le sue storie – Sassari

Una città vivaio per la politica della Sardegna

di Davide Pinna
Francesco Cossiga in visita alla tipografia della Nuova Sardegna in via Porcellana (Collezione Giulio Pirino)
Francesco Cossiga in visita alla tipografia della Nuova Sardegna in via Porcellana (Collezione Giulio Pirino)

Nel racconto dello storico Salvatore Mura la Sassari che lanciò Antonio Segni, Francesco Cossiga ed Enrico Berlinguer

15 dicembre 2023
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Una città viva, attraversata da un grande fermento politico e culturale. Era questo il clima di Sassari all’indomani della seconda guerra mondiale e nei decenni successivi. Un clima che favorì il germogliare di alcuni semi che erano stati gettati nei periodi precedenti e che portarono gli esponenti politici nati a Sassari a scalare le gerarchie della politica sarda e italiana. Tutto questo, anche grazie ad una particolare propensione nella formazione dei giovani, che trasformarono la Sassari degli anni Cinquanta in un vero e proprio vivaio politico. È questo il quadro tracciato da Salvatore Mura, docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Giuriprudenza dell’Università di Sassari, in un racconto che affronta anche altri temi legati alla storia politica più recente della città.

Qual è la situazione nella Sassari del dopoguerra?
«Sassari, a differenza di Cagliari, non era stata bombardata dagli alleati durante la seconda guerra mondiale. E perciò alcuni autorevoli esponenti politici, fra i quali Antonio Segni, proposero con insistenza Sassari come sede dell’Alto commissariato, ma la scelta ricadde su Cagliari, che pure nel 1944 si trovava in drammatiche condizioni economico-sociali».

Perché era importante la scelta della sede dell’Alto commissariato?
«Perché preannunciava la collocazione delle massime istituzioni regionali. La nascita della Regione, con i suoi organi e i suoi uffici quasi esclusivamente concentrati a Cagliari, consacrò la capitale politica dell’Isola. Da allora in poi, e ancora di più rispetto al passato, una delle preoccupazioni maggiori dei politici sassaresi fu quella di riequilibrare i rapporti fra Sassari e Cagliari. Nino Campus, politico sassarese, e Luigi Crespellani, più volte presidente della Giunta regionale, diedero vita a una vera e propria disputa, la cosiddetta “Polemica delle torri e dei campanili”. Sassari si trovava in una curiosa condizione: aveva politici di alto profilo, Antonio Segni, Mario Berlinguer e Stefano Siglienti (già ministro delle Finanze, potentissimo presidente dell’Imi e poi dell’Associazione bancaria italiana) e poi avrebbe avuto Francesco Cossiga ed Enrico Berlinguer, ma percepiva di essere indietro rispetto a Cagliari».

Fermiamoci un attimo. Quali sono i motivi per cui, a Sassari nel Dopoguerra, emergono queste personalità che riescono a scalare le gerarchie della politica italiana?
«Non è facile spiegare perché accadde, e perché proprio a Sassari e non in altre città della Sardegna. Va però considerato che Cagliari aveva una vocazione più commerciale, mercantile, Sassari aveva un forte ceto professionale, un numero consistente di ottimi avvocati. E questa tradizione influì sulla formazione di politici come Segni, Berlinguer e Cossiga. Anche se guardiamo a destra, tra i monarchici sassaresi, c’erano giovani professionisti di successo molto attivi in città: ad esempio, l’avvocato e più volte consigliere regionale Dino Milia. Il Partito sardo d’azione attirò giovani universitari di talento: Nino Ruiu, Sebastiano Brusco, tra gli altri».

Spesso erano giovani.
«Sì, la Sassari del Dopoguerra era una città che curava molto il suo vivaio politico, formava i giovani e ne consentiva l’ascesa. Cossiga divenne parlamentare a 30 anni, oggi, a Sassari, non capita più. E questo discorso si può fare per tutti gli schieramenti. I politici sassaresi del dopoguerra contribuirono alla formazione politica di molti giovani, a cui diedero occasioni e possibilità di crescita. Anche questo avvicinava i cittadini alla politica. E anche questo influiva sulla fiducia dei cittadini nelle istituzioni. La questione giovanile, se guardiamo al presente, assume contorni allarmanti: Sassari può “rinascere” solo se investe sui giovani e ne valorizza la creatività».

Quindi, Sassari si ritrova più volte rappresentata ai vertici della politica italiana fra anni Cinquanta e Ottanta, con Antonio Segni prima e poi Francesco Cossiga ed Enrico Berlinguer. Ci sono delle conseguenze?
«Sassari era ben rappresentata a Roma, ma va anche detto che si trattava di personalità che non erano direttamente impegnate nell’attività politica locale. Berlinguer e Cossiga non si occupavano con particolare attenzione della politica cittadina. Diverso il caso di Antonio Segni: fra i tre, l’unico che aveva una vita politica sassarese».

Ad esempio?
«Tornava a Sassari quasi ogni fine settimana e cercava di tenere un rapporto diretto con i politici locali, affrontando e dando il suo contributo per risolvere i problemi della città».

Forse perché era di una generazione precedente?
«Lo era sicuramente, ma era anche un aspetto legato alla sua personalità: per lui era impensabile non tornare a Sassari per controllare le sue campagne. Va considerato che Cossiga e Berlinguer erano leader politici, mentre Segni, più che un leader di partito, era un uomo di governo e un legislatore. Anche nel Sassarese ebbero importanti conseguenze la riforma agraria, che avviò quando era ministro dell’Agricoltura, e il Piano di rinascita, che non a caso fu approvato circa un mese dopo la sua elezione alla presidenza della Repubblica».

A proposito del Piano di Rinascita, un elemento fondamentale nella storia di Sassari nella seconda metà del Novecento fu sicuramente la scelta di Porto Torres come sede del petrolchimico. Che conseguenze ebbe sulla città?
«Il polo industriale di Porto Torres è ancora oggi al centro di un dibattito molto vivace (Sandro Ruju saprebbe rispondere molto meglio di me a questa domanda). Una parte degli studiosi sostiene che si trattava di una scelta inevitabile: l’agricoltura era già in forte crisi e l’artigianato e la piccola impresa non potevano avere alcuna possibilità di reggere la concorrenza internazionale dopo l’allargamento del mercato dovuto anche al processo di integrazione europea. Altri studiosi, invece, ritengono che il petrolchimico sia stata una scelta sbagliata, innaturale, e non coerente con quello che era stato il tradizionale sviluppo della città di Sassari. Anche in questa storia del polo industriale di Porto Torres ci sono luci e ombre, ma le prime mi sembrano superiori. Il polo industriale evitò, almeno per un trentennio, la decadenza economica del Nord-Ovest Sardegna. Finché c’era il petrolchimico Sassari aveva un significativo rilievo economico, che oggi non ha più».

Lei ricordava il ruolo di Sassari come capitale del ceto intellettuale nell’isola. Uno dei più grandi intellettuali sardi della seconda metà del Novecento, Antonio Pigliaru, insegnava nell’Università di Sassari. Pigliaru fondò la rivista “Ichnusa”. Vi collaboravano, fra gli altri, Salvatore Mannuzzu e Manlio Brigaglia. Niente di così importante, sotto il profilo politico-culturale, nacque a Cagliari nello stesso periodo».

Vivacità intellettuale, ma anche vivacità politica.
«Sarebbe forse sufficiente citare la “rivoluzione bianca” dei Giovani turchi del 1956, un avvenimento che avrebbe prodotto un ricambio generazionale e anche una svolta politico-culturale sia all’interno della Dc che della stessa Regione Sardegna. Si trattava di giovani davvero: Pietro Soddu, Paolo Dettori, Nino Giagu De Martini e il leader, Cossiga. Alcuni, in realtà, non erano neanche sassaresi: Dettori e Soddu si trasferirono a Sassari, che allora attirava i giovani più promettenti del centro-nord Sardegna».

Ecco, questa sembra una costante della storia sassarese: un rapporto strettissimo col suo circondario.
«Sì, gran parte della classe dirigente cittadina della seconda metà del Novecento non era nata a Sassari, ma c’era arrivata per studiare al Liceo Azuni o all’Università. Si trattava quindi di persone che avevano passato l’infanzia nei loro paesi e portavano a Sassari una parte della loro cultura “paesana”. Non è un fatto trascurabile: chi aveva vissuto nei piccoli paesi dell’interno, fondamentalmente agro-pastorali, aveva modi e abitudini diversi rispetto a chi aveva vissuto esclusivamente in città, tra la borghesia cittadina. Un contributo notevole alla crescita del Pci arrivò da uomini che non erano sassaresi: Renzo Laconi, Girolamo Sotgiu, Mario Birardi e, in tempi più recenti, Billia Pes. All’interno del Partito socialista, Franco Borghetto e Giacomo Spissu: il primo è nato a Bonorva, il secondo a Giave. La vivacità politica sassarese, attenzione, non dipese solo dai nativi sassaresi».

Questa vivacità politica e intellettuale che ruolo ebbe nel peso della città sul piano politico sardo, soprattutto nel confronto con Cagliari?
«Ebbe un ruolo importante. Almeno fino alla fine degli anni Ottanta non si poteva dire che Cagliari aveva vinto “definitivamente” la partita, diventando l’unico grande centro di potere dell’isola. Sassari aveva una sua forza politica, rappresentata da nomi autorevoli (Segni, i Berlinguer, Cossiga, Soddu, Mannuzzu, Pisanu, Parisi e così via), contava su riconosciuti studiosi e intellettuali, aveva un movimento operaio e sindacale, aveva una zona industriale di riferimento. La questione sassarese, intesa come il divario fra il Nord-Ovest dell’isola e Cagliari, c’era anche allora, ma era meno evidente, meno consistente. Finché Sassari rappresentò un contrappeso la Sardegna rimase quasi in equilibrio. Ora è assai sbilanciata, con gravi conseguenze di ordine politico, economico-sociale e, nei fatti, democratico».

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