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La sanità sarda non attrae e diversi pazienti emigrano

La sanità sarda non attrae e diversi pazienti emigrano

Agenas, l’isola all’ultimo posto in Italia come meta oncologica: la mobilità costa 8 milioni. Le strutture in compenso erogano una discreta risposta alla domanda interna

09 gennaio 2024
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Sassari La sanità sarda, tutto sommato, se la passa discretamente. A certificarlo è Agenas, l’Agenzia nazionale per i Servizi sanitari che, nell’ambito della sua analisi annuale sulle principali dinamiche della mobilità sanitaria interregionale in Italia, relative al 2022, ha calcolato un nuovo indicatore - l’Indice Isdi di soddisfazione della domanda interna - utile a misurare il livello di risposta della sanità regionale rispetto ai bisogni di assistenza e cura espressi dalla popolazione.
La Sardegna, per quanto riguarda gli interventi per patologie muscolo-scheletriche, tra tutte le regioni italiani, si posiziona a metà classifica, precisamente dodicesima, con un indice pari a 0,95: quando l’Isdi è superiore a 1 significa che le strutture sanitarie offrono più prestazioni di quante siano richieste dagli abitanti, mentre nelle regioni con un valore inferiore a 1 la produzione non risponde ai bisogni, ed è necessaria la mobilità sanitaria per assistere tutte le persone che hanno bisogno di cure. In Italia la sanità al top è in Emilia, dopodiché ci sono Lombardia, Veneto e Toscana. La Sardegna, come già detto, si trova a metà, dopo il Molise e prima di Marche e Sicilia. In coda troviamo Basilicata e Liguria, dalle quali scappano molti pazienti.
Lo scenario peggiora però se ci spostiamo sul versante oncologico. Qui la Sardegna è 17esima, con un indice di soddisfazione abbastanza basso, cioè 0,85. Significa che per trovare risposte subentra la mobilità degli utenti, costretti a spostarsi negli altri centri della Penisola. Sulle cure oncologiche, naturalmente, fanno la voce grossa Lombardia, Veneto e Lazio, mentre fanalini di coda, proprio dietro la Sardegna, sono la Provincia autonoma di Trento, Basilicata, Valle D’Aosta e infine Calabria. Se la passano leggermente meglio di noi Campania, Sicilia e Abruzzo, dalle quali comunque tanti pazienti sono costretti all’esodo.
Il problema della Sardegna, soprattutto da un punto di vista dei bilanci sanitari, è il grande gap tra l’emigrazione e l’immigrazione dei pazienti. Ancora l’isola riesce a dare una buona risposta alla domanda interna, ma non è assolutamente in grado di attrarre utenti dalle altre regioni. Questo sia per una questione di trasporti, ma anche per i tempi di attesa piuttosto elevati per erogare le prestazioni. Vediamo qualche numero nel dettaglio per capire la differenza tra entrate e uscite. L’ambito è sempre oncologico: il fabbisogno regionale è di 4.954 richieste. Le prestazioni sono 4172. I ricoveri dei residenti 4150. Si registrano 804 pazienti in fuga a fronte di 22 che arrivano dalla Penisola. Il saldo è dunque di -782. L’indice di fuga è del 16%, mentre quello di attrazione dello 0,53%, il più basso d’Italia. Però c’è da notare che in altre regioni, come la Calabria, l’indice di fuga dei pazienti è del 52%, così come in Basilicata è del 45% e in Valle d’Aosta del 46%. Insomma, ci sono regioni dove un malato di tumore su due è costretto a far le valigie. Nel 2002 questa mobilità dei pazienti costa alle casse regionali quasi 8 milioni di euro per gli oncologici (in crescita rispetto al 2021), e altri 13 per le patologie muscolo-scheletriche. Il 58% dei malati di tumore sardi non soddisfatti si dirige verso la Lombardia (Ieo) e la migrazione costa 4 milioni e mezzo di euro. Chi ha problemi muscolo-scheletrici e non trova risposta nell’isola, invece si rivolge per il 28% all’Emilia Romagna, altrimenti viaggia in Lombardia (26%) e Veneto (25%).
Analizzando le patologie oncologiche emerge un dettaglio interessante: i sardi non trovano adeguate cure per il cancro all’esofago, e il 72% si fa operare in continente. Stesso problema per tumore al polmone e al fegato. La metà dei malati sceglie o è costretto a partire. (lu.so.)
 

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