La Nuova Sardegna

Il ricordo

Meo Sacchetti e l'incontro con Gigi Riva: «Noi due, burberi del nord, ci siamo capiti immediatamente»

di Andrea Sini
Meo Sacchetti e l'incontro con Gigi Riva: «Noi due, burberi del nord, ci siamo capiti immediatamente»

«C’era grande stima reciproca»

23 gennaio 2024
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Sassari «Tra persone di poche parole come noi ci si intende subito. Ma quella volta abbiamo chiacchierato come se fossimo vecchi amici». Meo Sacchetti e Gigi Riva si sono incontrati una sola volta, poco più di dieci anni fa, dopo essersi inseguiti a lungo sulla scia di una stima reciproca tra grandi uomini di sport che, nell’adolescenza, hanno dovuto affrontare ostacoli importanti.

«Sì, ma io da sportivo non ho fatto niente che sia neppure lontanamente assimilabile a quello che ha fatto Riva», si schermisce immediatamente l’ex allenatore della Dinamo Sassari, che da giocatore ha vinto la medaglia d’argento alle Olimpiadi di Mosca nel 1980 e uno storico oro agli Europei di Nantes nel 1983.

«Diciamo che ci accomuna la provenienza e il fatto di avere nel cuore la Sardegna, pur non essendo nati qui. Era mi pare il 2013, lui aveva già espresso pubblicamente il suo apprezzamento nei miei confronti e nei confronti della Dinamo, si era dichiarato apertamente nostro tifoso. Io ovviamente di lui sapevo tutto, conoscevo le sue imprese sportive ma sentivo che c’era qualcosa in più tra noi, pur non essendoci mai incontrati. Grazie al nostro amico in comune Nando (Mura, giornalista dell’Unione Sarda ora in pensione, ndr) siamo riusciti a combinare questo incontro».

Meo Sacchetti e Gigi Riva, entrambi uomini del nord fatti con l’accetta ed entrambi orfani giovanissimi, si ritrovano così faccia a faccia in una piazza di Cagliari un pomeriggio d’autunno del 2013. «Sì, forse entrambi siamo stati fatti con l’accetta, ma ci siamo intesi subito – racconta Sacchetti, che da poche settimane siede sulla panchina della Vuelle Pesaro –. Oltre alla statura dell’uomo di sport, a me incuriosiva moltissimo l’uomo. Di cosa abbiamo parlato? Di noi, del nostro mondo, di sport e di vita. Era sereno e rilassato, di ottimo umore. Mi confermò che seguiva le nostre partite e mi fece il nome dei giocatori che più lo facevano divertire. Lo invitai a venire a una partita al palazzetto. Gli dissi, dai ti aspettiamo. Lui mi rispose: “ma sei matto, voi in casa vincete sempre, se per caso vengo su e perdete poi passo per menagramo per tutta la vita”. In compenso suo figlio Nicola veniva spesso e si sedeva proprio dietro la mia panchina».

Riva fu anche autore di una “profezia” legata alla Dinamo. «Quell’anno eravamo arrivati secondi in regular season, poi uscimmo dai playoff dopo una serie sfortunatissima con Cantù. Lui disse: “non preoccupatevi, anche il Cagliari prima di vinccere lo scudetto arrivò secondo. Forse il vostro momento non è ancora arrivato, ma vedrai che arriverà presto”. Noi ancora non avevamo vinto neppure la coppa Italia, e quella frase mi sembrò davvero troppo generosa. Gli risposi “ma che dici?”. Invece fu davvero profetico».

Coach Sacchetti scava tra le pieghe della memoria e tira fuori altri ricordi. «Mi aveva colpito molto il suo comportamento da dirigente dopo la vittoria dei mondiali del 2006, quando lasciò il pullman durante i festeggiamenti». Una cosa molto “da Meo”, verrebbe da dire. «Sì, forse sì, parlammo di quello e gli chiesi anche la sua idea di gestione delle “teste matte” all’interno dello spogliatoio. “Tu sei grande e grosso, a volte qualcuno lo potresti attaccare al muro”. E scoppiammo a ridere».

«Da quel giorno non ci siamo più rivisti – racconta il coach che ha portato la Dinamo alla conquista del triplete nel 2014-’15 –. Ci siamo mandati i saluti per anni attraverso Nando e suo figlio Nicola. So che ha continuato a seguirci. In fin dei conti ciò che avevamo in comune era l’amore per questa terra. Né io né lui quando siamo arrivati in Sardegna pensavamo che ci saremmo stati a lungo. Lui ha scelto di starci per sempre, io ancora giro l’Italia per allenare ma ormai ho base ad Alghero. Entrambi abbiamo avuto modo di conoscere in profondità questa gente. Quando il rapporto con i sardi arriva a quel punto, sai benissimo che puoi stare via anni ma quando torni hai la sensazione di essere sempre stato là. Lui, per non sbagliare, comunque non se n’è mai voluto andare. Capisco bene la sua scelta».


 

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