La Nuova Sardegna

Emergenza

Allarme sangue nell’isola, i talassemici: «Siamo stati dimenticati»

di Roberto Petretto
Allarme sangue nell’isola, i talassemici: «Siamo stati dimenticati»

Ogni giorno centinaia di sardi vivono l’incertezza della disponibilità di sangue. Sebis (Thalassa azione): «Il sistema non funziona: servono più personale e più strutture»

15 febbraio 2024
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Sassari «Come è possibile che una trasfusione inizi alle 16 o alle 17? C’è qualcosa nel sistema che non funziona e le cose sono accettabili quando si tratta di casi sporadici o brevi periodi ma questa ormai sta diventando la nostra realtà. Il tempo di tirare il fiato e sarò di nuovo qua e si riprenderà da capo in un loop infinito che la maggior parte delle volte sei grato che ci sia ma qualche volta non ne puoi davvero più». È l’amaro sfogo di una donna di circa 50 anni, affetta da beta talassemia, che deve fare i conti, oltre che con la propria patologia, con un sistema che, nonostante gli sforzi di tanti, mostra lacune che rendono ancora più difficile la quotidianità dei malati. «Non si possono sentire queste parole nel 2024! Ho il cuore spezzato e inondato di lacrime», dice Maria Antonina Sebis la presidente regionale di Thalassa azione Aps. L’associazione rappresenta circa 1.500 famiglie sarde che devono fare i conti con la talassemia. Sebis è stata rieletta il 23 gennaio, giusto in tempo per continuare con vigore le battaglie per un popolo che dipende, ogni 15 giorni, dalla generosità dei donatori di sangue.

«Quel messaggio che mi ha commosso e indignato è di una mia amica che trasfonde a Cagliari. Chi è affetto da beta talassemia ogni 12-15 giorni deve sottoporsi alla trasfusione di due unità di sangue».

Qualcosa non funziona come dovrebbe: «Si sta manifestando un problema, nonostante l’impegno dei volontari, dell’Avis, del personale delle Asl, di tutti i professionisti che lavorano in questo campo: non c’è abbastanza sangue in quantità e in qualità. Parlo di qualità perché dobbiamo avere un tipo di sangue compatibile sia per gruppo sia per fenotipo, anche se viene impropriamente chiamato sottogruppo. E se non seguiamo queste indicazioni, rischiamo una reazione allergica».

Il meccanismo a volte si inceppa e questo accade sempre più spesso: «Il problema è il sistema-sangue: i donatori non possono donare come e quando vogliono. Nell’isola abbiamo un indice di donazione di 1,5. Cosa significa? Ogni donatore, in Sardegna sono 51mila, può donare quattro volte all’anno se uomo e due se è donna. Quindi, se si fa la media, il donatore sardo dona una volta e mezza all’anno. Bisognerebbe arrivare almeno a due volte di media, ma per raggiungere questo obiettivo il sistema deve essere messo in condizione di lavorare meglio e in modo più efficiente».

È questo che sta facendo montare la protesta dei talassemici sardi e in generale dei pazienti che hanno necessità di trasfusioni: «La Sardegna raccoglie, per il proprio fabbisogno, 81 mila sacche di sangue - ricorda ancora Sebis -. Si potrebbe arrivare agevolmente a superare i 100mila e essere autosufficienti».

Allora, cosa non funziona? «Manca personale, mancano sedi accreditate. È un cane che si morde la coda». E come se ne esce? « Si potrebbe cominciare a investire una parte di quei dieci milioni di euro che la Sardegna spende per la compensazione extra regionale. Se si investisse anche solo uno di quei 10 milioni all’anno saremmo autosufficienti per sangue e plasma derivati. Quei dieci milioni ogni anno vanno via così: 5 milioni per “globulo rosso” e 5 per plasma derivati».

I talassemici che si presentano ai centri trasfusionali sempre più spesso sono accompagnati da dubbio: “oggi mi daranno il sangue di cui ho bisogno?” «In un certo periodo dell’anno ci può essere, in generale, abbastanza disponibilità di sangue. Ma basta che sia stato effettuato un trapianto o che ci sia stato un incidente grave, ecco che per i talassemici che arrivano al microcitemico può non esserci sangue oppure è necessario aspettare ore prima che arrivi».

La Sardegna non è autosufficiente: «La medicina, per fortuna, negli anni è andata avanti, ci sono stati enormi progressi - riflette ancora la presidente dell’associazione talassemici -. Oggi si fanno interventi complessi, si fanno trapianti. Quindi siamo tutti in concorrenza per il sangue. E se c’è qualche appuntamento da fare saltare, i primi della lista siamo noi. Perché se non facciamo la trasfusione non moriamo subito. Ma è anche vero che a lungo andare per noi possono arrivare complicanze di vario tipo: cardiologiche, muscolo scheletrico. E comunque non è piacevole arrivare a livelli di emoglobina non compatibili».

Il campo di battaglia è doppio, quindi: contro la malattia e contro un sistema che zoppica: «Ci sentiamo lesi nella nostra dignità di vita e di salute ci sembra che non si voglia trovare soluzione».

Per questo si sta pensando a iniziative di sensibilizzazione: «Abbiamo chiesto all’Anci Sardegna di ospitarci per fare conoscere le criticità e i punti di forza del sistema sangue. E poi chiederemo, insieme ai nostri amici diabetici di entrare nelle scuole per fare informazione e sensibilizzazione. La prevenzione si fa con la consapevolezza. Negli anni ‘70 l’aspettativa di vita era limitata, ora abbiamo 50 anni, siamo attivi nel mondo del lavoro, nella società. Abbiamo dimostrato che facciamo parte attiva della comunità sarda».
 

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