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La storia

Le tre vite in una di Antonio Maricosu, campione di boxe che divenne medico e poi anche ingegnere

di Luca Urgu
Le tre vite in una di Antonio Maricosu, campione di boxe che divenne medico e poi anche ingegnere

«Sul ring mi trasformavo. Mi ha forgiato»

31 marzo 2024
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Nuoro Tre vite in una. La prima, da sportivo, che lo ho portato a diventare campione prima sardo e poi italiano di boxe a 17 anni. La seconda da medico, professione che ne ha plasmato e forgiato l’esistenza. Ed infine la terza e attuale, quasi una nuova giovinezza, da ingegnere elettronico. In mezzo, giusto per non farsi mancare nulla, anche un intervento a cuore aperto a Milano nel 2018, ma questo lui lo archivia come un dettaglio.

Il dottore-ingegnere- campione di boxe (con tutti questi titoli c’è il rischio di confondersi) Antonio Maricosu, 67 anni, nuorese (di origini olianesi) da cinque in pensione da medico dopo aver esercitato la per trent’anni, la laurea triennale in ingegneria il l’ha conseguita nel 2021. Questo percorso, che agli occhi degli altri (inclusi quelli del cronista) appare straordinario, per lui è una cosa normale, sempre vissuta con i piedi per terra, all’insegna della semplicità e concretezza. Sorprende poi la capacità non comune di aprire e chiudere le pagine della sua vita senza rimpianti e sentimentalismi. Ha giusto conservato in un’apposita cartella le fotografie in bianco e nero e le cronache dei giornali di cinquant’anni fa che celebravano le sue imprese da pugile. Riaffiora il ricordo di quel nomignolo che lo fa sorridere. «Mi chiamavano “Antonio il bello” - dice Maricosu - perché dicevano e scrivevano che salivo sul ring pettinato e ci scendevo con la capigliatura in ordine».

Oggi ha dismesso il camice da medico e appare avviato con il piglio giusto verso il prossimo traguardo: «Mi mancano pochi esami per la laurea magistrale in Ingegneria. Rispetto a quando lavoravo ho molto più tempo. Prima per la triennale mi ritagliavo due ore la mattina presto e due la notte. In mezzo c’era l’ambulatorio anche con 60 – 70 pazienti al giorno. Qualche dose fisiologica di stress e stanchezza, ma niente di più». La facoltà di Medicina a 18 anni è stata una seconda scelta, ma poi una volta medico ha svolto con passione e una professione per tanti versi totalizzante, sia come guardia medica all’inizio o come condotto, senza dimenticare una stagione di quasi 27 anni da medico nel carcere di Badu’ e Carros. «In effetti volevo iscrivermi in Ingegneria a Torino, ma i miei genitori mi convinsero a rimanere in Sardegna. Non si sentivano sicuri visto quello che accadeva in quegli anni nel capoluogo piemontese, particolarmente caldo anche per il pericolo dell’eversione e della presenza delle Brigate rosse», confida Maricosu. «Ho fatto il medico e non me ne sono pentito. Un’esperienza bellissima così come lo sono stati gli anni giovanili da pugile».

L’incontro con la nobile arte nacque per caso: «Mio padre faceva l’insegnante ed era collega e amico di Piero Merche, un maestro della boxe nel nuorese. Mi ha affidato alle sue cure in palestra anche per farmi irrobustire dato che allora ero molto magro». «Nel ring - ricorda -mi trasformavo, tanto che divenni campione sardo e poi nel 1974 a Paola in Calabria vinsi il tricolore. Avevo 17 anni e fui molto felice. Quando poi in quello stesso anno mi arrivarono per natale gli auguri con dedica di Nino Benvenuti con una cartolina del Coni toccai il cielo con un dito; per me era un idolo, un campione a cui ispirarmi», ricorda Antonio Maricosu mentre sfoglia l’album dei ricordi ricco di istantanee in bianco e nero con la maglia della Gennargentu Nuoro che sembrano ancora profumare di olio di canfora. «La laurea in Medicina fu una soddisfazione immensa. Io ero sposato con mia moglie Rosa. A lei devo tutto, senza il suo supporto non avrei mai raggiunto questi traguardi. Avevo già due figli quando mi sono laureato, poi arrivò anche il terzo (sono tutti e tre laureati e vivono e lavorano fuori Nuoro), insomma quando mi laureai ero già padre di famiglia».

La seconda laurea in ingegneria ha avuto un sapore diverso. «Ci ho messo più tempo perché lavoravo. Poi, sono stato un anno fermo per l’intervento al cuore. È stato un sacrificio gigantesco, con materie sconosciute, ma anche nessuna voglia di desistere testimoniato anche dal fatto che ho fatto per ben tre volte il test di ammissione. Ma è stato bellissimo anche il rapporto costruito con tanti docenti e colleghi di corso, anche se molto più giovani di me. Passione e costanza sono state le mie armi. Io ci ho messo lo spirito da lottatore, il pugile che era in me. Ora che ci penso la boxe mi ha forgiato per la vita con le sue regole», conclude con in mano la sua foto con il viso da ragazzo, avvolto dal caschetto di protezione prima di salire sul ring.

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