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La Sardegna continua a spopolarsi: in un anno 9mila residenti in meno

di Salvatore Santoni
La Sardegna continua a spopolarsi: in un anno 9mila residenti in meno

La fotografia dell’Istat: record di denatalità e aumento dell’indice di mortalità. Il demografo: «La politica scelga se finanziare i servizi o fare morire i paesi»

13 maggio 2024
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Sassari Le culle sempre più vuote, i giovani che scappano in cerca di un futuro, i centri più piccoli che anno dopo anno si avvicinano all’estinzione. E ora anche un’ulteriore novità negativa: l’indice di mortalità che aumenta.

È un’isola che avvizzisce da far paura quella che emerge dalla fotografia scattata dall’Istat in occasione del Censimento permanente della popolazione del 2022. «Niente di positivo purtroppo – spiega il demografo Gabriele Ruiu, docente di Statistica all’università di Sassari –. La situazione si conferma drammatica, i trend purtroppo non si invertono, ma anzi continuano a peggiorare».

In pillole In un anno la Sardegna ha perso 9.267 abitanti. I nuovi nati del 2022 sono stati 7.703 (-529 rispetto al 2021). La provincia più giovane è Sassari: 47,8 anni di media; quella più anziana è Oristano (49,8 anni). Il Comune più piccolo è Baradili (Oristano) con 78 residenti; quello più giovane è Girasole (età media 43,2). Chi ha incrementato maggiormente la popolazione è Modolo (9,7 per 100 residenti); quello dove sono aumentati maggiormente gli stranieri è Furtei (63,6 ogni 100 residenti). Il paese più vecchio è Semestene (età media 58,1 anni).

Tasso di mortalità L’indice è passato da 13,3 registrato nel 2021 a 14 nel 2022. «Questa è la novità più preoccupante – riprende Gabriele Ruiu – anche se in realtà era stato evidenziato già dal Rapporto Crenos dello scorso anno. Se n’è parlato qualche giorno e poi la questione è sparita dai radar. E invece andrebbe approfondita, perché quel dato non peggiora perché ci sono più anziani ma perché apre a problemi dal punto di vista delle condizioni di salute dei sardi».

Ciambella addio In passato la perdita di abitanti nelle aree interne a favore delle città costiera veniva definito come “effetto ciambella” proprio per il disegno che ne risultava tracciando gli spostamenti dei residenti su una mappa dell’isola: un buco al centro e la ciccia all’esterno. Ora la ciambella non c’è più: anche le grandi città costiere hanno cominciato a svuotarsi. Ma con alcune eccezioni. «Ci sono zone ancora attrattive – continua il docente – come la Gallura costiera, ma sono le uniche in lieve crescita demografica. Tutte le altre, compre le aree di Sassari e Cagliari sono in perdita».

Manca la fiducia «Quest’unica zona della Gallura – continua Ruiu – presenta una forte vitalità economica e quindi diventa molto attrattiva e poi comunque fa registrare dei tassi di fecondità più elevati, anche perché le condizioni infondono più fiducia nel futuro. Fiducia nell’avvenire che si è persa sui poli maggiori come Sassari e Cagliari. I giovani ci pensano un attimo prima di fare dei figli, il primo magari arriva perché è un obiettivo di vita, ma dal secondo in poi si valutano solo se c’è certezza economica. Questo dice l’ampia letteratura sul tema. L’indicazione di malessere dell’isola va presa seriamente. Non è solo un problema economico, ma in qualche modo bisogna cercare di fare tornare la fiducia nelle persone e anche di fornire servizi per vivere al meglio».

Futuro nero Verso quale futuro è proiettata l’isola? Le stime dicono che al 2080 si rischia di scendere sotto gli 800mila abitanti, una cifra che potrebbe restare anche attorno al milione se solo si facesse qualcosa per rallentare il declino. «È necessario ripensare il modello di città per cercare di andare incontro alle esigenze della popolazione. È molto difficile interrompere questa sorta di circolo vizioso che si è innescato. Andrebbe fatto un discorso serio, e la politica ha la responsabilità di prendere una decisione. Deve decidere se lasciare i Comuni a rischio spopolamento a morire oppure se mettersi a finanziare servizi che magari al momento andranno in perdita, ma che possono alla lunga innescare nuovo ripopolamento. Bisogna decidere se fare o meno questa scommessa. Spesso la soluzione è dare incentivi economici, ma in realtà questo non basta. Bisogna rendere i luoghi idonei allo sviluppo delle famiglie. Lo stadio di declino è già avanzato ma si può perlomeno rallentare il fenomeno. Bisogna volerlo fare».

Cosa serve «Quando si tratta di demografia – continua Ruiu – c’è sempre un’impressione diffusa, tra chi deve prendere decisioni, che ci sia tempo a sufficienza. Il ragionamento (sbagliato) è questo: i movimenti demografici sono lenti a cambiare e quindi c’è tempo per intervenire. Purtroppo, però, la realtà è che poi la situazione si aggrava e si arriva tardi: la trappola demografica si serra sempre di più ti ritrovi con meno donne in età fertile, che fanno meno figli, e se riprende la propensione a fare figli in realtà poi di ritrovi con meno madri». «Se dovessi dare un consiglio al nuovo governo regionale – conclude il docente – direi di mettersi immediatamente a studiare qualche misura urgente. Nessuno ha la bacchetta magica, ma bisogna affrontare il problema».


 

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