Pecorino sì, ma senza pecore: «Sapore sardo taroccato»
Luca Saba (Coldiretti): «Il Cheese romano del Wisconsin che sa di niente, il pane carasau e gli gnocchi senza marchio: per l’isola sono danni enormi»
Sassari Pane carasau che di sardo ha solo il nome, pecorino romano che non ha mai visto una pecora, gnocchetti marchiati 4 mori ma prodotti sotto il tricolore. Poi ci sono gli agnelli Igp taroccati, il casu marzu che finisce su eBay come fosse un gadget, e il Cannonau imbottigliato oltre Tirreno, con chissà quale intruglio. E ora l’ultima frode fatta in casa: i vini doc che in realtà erano marchio flop, annacquati con chissà quali spremute d’uva low cost di infima qualità, provenienti dalla Sicilia e dalla Puglia. La Sardegna del gusto, con le sue radici profonde nella terra, nelle tradizioni e nell’enogastronomia, è sotto attacco. Non solo dalle contraffazioni pirata, ma anche da quelle imitazioni legalissime che galleggiano nell’assenza di marchi di tutela.
Una terra che profuma di autenticità, ma svenduta al miglior offerente. «Il pane carasau è sempre più richiesto, soprattutto nei ristoranti, dove sostituisce i grissini: è sottile, si mangia facilmente e dura di più – spiega Luca Saba, direttore di Coldiretti Sardegna –. Ma il problema è che alcune aziende, visto il successo, hanno iniziato a produrlo fuori dall’isola. Non c’è alcun marchio che ne tuteli l’origine, come accade invece per l’Agnello Sardo Igp, e questo permette a chiunque di realizzarlo. Lo stesso vale per gli gnocchetti sardi e per la salsiccia ora che non c’è più il blocco e il mercato è libero, commercializzati anche da grandi marchi nazionali». Insomma, è tutto legale. Nessuna frode, nessuna violazione. Ma il risultato è lo stesso: un prodotto che perde il legame con la sua terra. Il pecorino americano, ad esempio: un paradosso da milioni di euro.
Questo è il caso più eclatante: «Negli Stati Uniti, in particolare nel Wisconsin, ci sono aziende che producono il “Pecorino Cheese” – racconta Saba –. È un nome che richiama il nostro prodotto, ma non ha nulla a che vedere con il pecorino romano autentico, che è una Dop riconosciuta solo in Europa. Del latte di pecora, nelle imitazioni americane, non c’è traccia. Un occhio esperto lo riconosce da lontano: colore e consistenza diversi, per non parlare del sapore. Nemmeno lontani parenti. Eppure viene venduto a prezzi alti, simili a quelli del vero pecorino romano, posizionato ormai in una fascia premium di mercato. Questo crea danni enormi ai produttori sardi, per milioni di euro».
Ma a pagare il prezzo delle imitazioni non sono solo i produttori. Sono anche i consumatori, spesso ignari. «Chi compra un prodotto aspettandosi di ritrovare i sapori gustati durante una vacanza in Sardegna, resta inevitabilmente deluso – spiega Saba –. Si ritrova con qualcosa di diverso, sia per qualità sia per gusto. È una questione commerciale, certo, ma anche di identità».
Per Coldiretti Sardegna, la battaglia contro le imitazioni passa per un’arma semplice e potente: l’etichetta. Da oltre vent’anni, l’organizzazione si batte per garantire l’obbligo di indicare l’origine dei prodotti. «L’indicazione dell’origine taglia la testa al toro – dice Saba –. Siamo riusciti a ottenerla per molti prodotti e vogliamo che diventi ancora più chiara. Un’etichetta trasparente rende il consumatore consapevole di quello che sta mangiando. Ma c’è una tendenza, soprattutto da parte della grande industria, a eliminare queste informazioni. Per questo stiamo lavorando in Europa, per tutelare i nostri prodotti e la loro autenticità». Un pecorino senza pecore, un Cannonau senza maestrale sono racconti falsati, bugie sul piatto. E ogni turista che cerca la Sardegna in un sapore e non la trova, è una sconfitta per tutti.