La Nuova Sardegna

Calo delle nascite

Il professore di demografia: «I sardi saranno sempre di meno, ma può essere un’opportunità»

di Andrea Massidda
Il professore di demografia: «I sardi saranno sempre di meno, ma può essere un’opportunità»

Parla Marco Breschi, ordinario all'università di Sassari: «Saranno necessarie politiche innovative»

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Cagliari La reale portata del fenomeno della denatalità sta tutta in un sillogismo aristotelico. Premessa 1: da quarant’anni, nell’ambito della Comunità europea, l’Italia detiene il primato della più bassa fecondità. Premessa 2: tra le regioni italiane la Sardegna è quella dove si fanno meno figli (precisamente 0,9 per donna, quando il cosiddetto ricambio generazionale ne richiederebbe almeno 2). Conseguenza logica: in nessun luogo d’Europa nascono pochi bambini come in Sardegna. Un disastro? «Decisamente sì, se si decide di sottostare alla dittatura delle cifre. Oppure una grande opportunità, se invece si sceglie di garantire a quell’esiguo numero di nuovi nati una migliore qualità della vita, le scuole più prestigiose, una sanità davvero efficiente, un vero ascensore sociale e prospettive occupazionali». A pensarla così è Marco Breschi, ordinario di Demografia al Dipartimento di Scienze economiche e aziendali dell’Università di Sassari, che guardando il bicchiere mezzo pieno lancia la sfida. «È da tanti anni che mi occupo di questa materia e francamente mi fa sorridere che ancora qualcuno si sorprenda nel vedere i dati sul calo delle nascite. Lo sappiamo che le cose stanno in questo modo: un tempo in Sardegna si facevano 25mila figli all’anno, poi si è passati a 13mila, ora siamo a meno di 7mila e domani di sicuro scenderemo sotto i 6mila. Quindi, invece di farci deprimere dalle statistiche, proviamo ad adeguarci a esse facendo anche in modo che il dettato costituzionale che impone una vita dignitosa per tutti sia effettivamente rispettato».

Per il professor Breschi, insomma, essere in pochi può rappresentare una chance per innescare un circolo virtuoso che alla lunga conduca alla ripresa della natalità. «So bene che non tutti i miei colleghi la pensano così – spiega lui stesso – ma io sono sicuro che questa è la strada giusta. Recentemente ho anche scritto un saggio con Gabriele Ruiu, docente di Statistica sociale, che s’intitola “Sfide. La Sardegna e il cortocircuito demografico”. Da poco più di 1,5 milioni di abitanti attuali, la popolazione dell’isola scenderà a 858mila nel 2080, dunque è il momento opportuno per mettere in campo politiche davvero innovative. E naturalmente per far ciò bisogna abbandonare la logica diabolica dei tagli alle spese. Faccio un esempio: se un docente che impartiva le lezioni a trenta studenti si ritrova ad averne soltanto 15, non si devono accorpare le classi, ma lasciare che lo stesso professore assicuri una migliore istruzione. Stesso discorso per l’assistenza sanitaria e per tutto il resto. Soltanto garantendo in senso lato un’alta qualità della vita e un lavoro ben retribuito si può sperare che le prossime generazioni immagino il proprio futuro in Sardegna e con il tempo sognino di nuovo di mettere al mondo dei figli. La demografia ci sta parlando molto chiaramente, non c’è tempo da perdere».

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