Quando rimase tre giorni dentro un tubo: tutte le evasioni di Graziano Mesina
Dal 1960 al 2020 le imprese rocambolesche del re delle fughe
Sassari Quando tentò il primo dei suoi 22 tentativi di fuga, di cui 10 riusciti, Graziano Mesina aveva 18 anni. Era stato arrestato per aver sparato ad alcune lampadine nelle strade di Orgosolo e trasportato in una camera di sicurezza della caserma dei carabinieri. Qui non esitò a smontare i tubi della brandina della cella che utilizzò poi per forzare la porta e riconquistare la libertà. Per poco tempo, perché fu la stessa madre a riconsegnarlo alle forze dell'ordine.
«Quella volta sbagliò – disse tempo dopo – il carcere mi ha fatto diventare nervoso». Ma quella prima evasione già faceva capire tanto di quella che sarebbe stata la vita di Grazianeddu. Il secondo episodio, ancora più emblematico, avvenne a vent'anni durante un trasferimento da un carcere all'altro a bordo di un treno. Non esitò a lanciarsi dal convoglio in corsa, ma anche in questo caso la fuga durò poco perché, dopo un inseguimento, venne catturato e riportato in cella. Il 1962 fu l'anno anche della terza evasione, sempre più rocambolesca.
La precedente fuga dal treno gli aveva procurato delle ferite ed era stato ricoverato in ospedale. Riuscì quindi a eludere la sorveglianza e si calò dalla grondaia, poi si nascose per tre giorni all'interno di un tubo e questa volta riuscì a far perdere le sue tracce, conquistando la latitanza e allo stesso tempo una fama sempre crescente che superava anche i confini regionali. La sua libertà durò solo pochi mesi e, dopo diversi trasferimenti, arrivò al carcere di San Sebastiano a Sassari. Era il 1966 quando gli riuscì quella che poteva apparire come una fuga impossibile. Riuscì a distrarre le guardie e a raggiungere la sommità del muro di cinta, dal quale si gettò con un volo di 7 metri, insieme allo spagnolo Miguel Asencio Prados Atienza.
Raggiunsero piazza d'Italia, dove riuscirono a salire su un taxi e a raggiungere Ozieri. Atienza morì dopo uno scontro a fuoco nel giugno dell'anno seguente, mentre Mesina fu arrestato nel marzo del 1968. Nel 1976 fu autore di un'altra celebre evasione, questa volta dal carcere di Lecce. Fu lui a capo della fuga che coinvolse anche altri dieci detenuti, tra cui Martino Zicchitella e Giuseppe Sofia, entrambi attivisti dei NAP.
Mesina minacciò con una pistola un agente penitenziario, portando via anche un milione di lire. Nel 1985 una nuova evasione, meno rocambolesca ma più romantica. Riuscì ad ottenere un permesso per andare a trovare il fratello ma, al termine delle 12 ore, non si ripresentò al carcere di Vigevano dove era recluso. Aveva conosciuto una ragazza con la quale aveva iniziato uno scambio epistolare. Una fuga d'amore che si concluse pochi giorni dopo nell'abitazione della ragazza. Sembrava l'ultimo capitolo delle evasioni di Mesina, e così è stato fino al 2020 quando, dopo la sentenza della Cassazione che lo condannava definitivamente a 24 anni fece perdere le sue tracce e si diede nuovamente alla latitanza.
Venne arrestato per l'ultima volta il 18 dicembre dell'anno successivo e da quel momento le porte del carcere si chiusero, fino al ricovero e alla morte all'ospedale San Paolo di Milano.