La Nuova Sardegna

Scuola

Ddl Valditara, paletti inutili: «Così la sessualità resta un tabù»

di Luigi Soriga
Ddl Valditara, paletti inutili: «Così la sessualità resta un tabù»

Maria Paola Curreli: «Di educazione di genere bisogna parlarne sempre». Massimo Depau: «Giuste le pene severe per chi picchia i docenti, ma i giovani non hanno regole, il problema è qui»

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Sassari «La scuola talvolta è l’unica ancora di salvezza per i ragazzi. La possibilità di confrontarsi con un modo di vedere le cose diverso, la chance di sottrarsi a un ambiente tossico, intriso di pregiudizi e omofobia. Provate a immaginare un bambino o un ragazzo che cresce in un contesto familiare violento o fatto di abusi. Se la scuola chiede a i genitori il consenso per l’educazione sessuale, di genere e relazionale, e questi lo negano, che chance avrà di salvarsi?».

Maria Paola Curreli, sassarese, attivista per i diritti umani e le politiche di genere, ex dirigente scolastica, insegnante e sindacalista, è molto preoccupata sulla piega che potrebbe prendere il nuovo disegno di legge targato Valditara. “Consenso preventivo dei genitori per l’educazione sessuale”. E ancora: “I soggetti erogatori devono avere requisiti di professionalità scientifica e accademica”. Questi i punti principali della riforma, che vanno a toccare nervi scoperti della didattica. «Già l’Italia non è esattamente un paese all’avanguardia su queste tematiche, mi pare che il Governo non faccia altro che ribadire che l’educazione alla sessualità sia un tabù. Perché se si evita di parlare di un argomento, o si fa di tutto per relegarlo ai margini, allora lo si incanala inevitabilmente nella sfera dei tabù».

«Questo approccio è profondamente sbagliato – ribadisce Maria Paola Curreli – perché di sessualità e identità di genere bisognerebbe parlarne in ogni occasione possibile, e non solo nelle ore prestabilite. Qualunque insegnante dovrebbe approfondire questi temi, proprio per mettere un po’ d’ordine sulle troppe informazioni a disposizione dei minori, dove purtroppo domina la pornografia e una rappresentazione distorta delle relazioni. Dove predominano i pregiudizi, l’omofobia e convinzioni sbagliate».

Su un aspetto Maria Paola Curreli è favorevole: «Chi fa educazione sessuale deve essere formato e professionale. L’interazione con gli studenti deve essere a carico dei docenti, i quali devono studiare e acquisire competenze. È giusto che coinvolgano anche esperti esterni, ad esempio le associazioni, ma l’incontro con gli studenti deve essere filtrato dagli insegnanti e deve far parte di un preciso programma. Piuttosto le associazioni dovrebbero aiutare il personale docente a formarsi adeguatamente su queste tematiche. La scuola non deve sottrarsi dal suo compito di far crescere i ragazzi su ogni aspetto, compresa la sessualità, la contraccezione, l’accettazione di ogni diversità, l’educazione sentimentale. È un’assunzione di responsabilità».

L’altro punto fermo del disegno di legge, “arresto in flagranza obbligatorio per chi picchia i docenti e inasprimento delle pene”, viene accolto come un ottimo punto di partenza per tutelare gli insegnanti: «Un provvedimento che da solo, però, non può risolvere l’escalation di aggressioni all’interno delle scuole. L’unica soluzione possibile sarebbe quella di lavorare su più fronti, soprattutto sul versante sociale». Per Massimo Depau, coordinatore regionale dell’Associazione Nazionale Presidi, il problema principale è proprio questo: «Una povertà educativa spaventosa. Nelle case non ci sono libri, nelle periferie i ragazzi sono abbandonati a se stessi, hanno pochi stimoli. In generale poi le famiglie danno affetto ma pochissime regole. Sono capaci di difendere i propri figli col coltello tra i denti, ma non riescono a dire un no. Perciò ben venga questo giro di vite e delle pene più severe, ma è una medicina che cura una parte della malattia. Il vero malessere è ben più spalmato nella società».

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