Arrivano i medici di base, Desole: «Bene i nuovi diplomati, ora cerchiamo di non perderli»
a Fimmg: «Le condizioni di lavoro sono ancora insostenibili»
Sassari Quarantacinque giovani medici di medicina generale da oggi possono scegliere una sede. Prendere servizio. L’assessore regionale alla Sanità, Armando Bartolazzi, ha fatto i conti: chi già esercita potrà accogliere altri 500 pazienti, chi è senza incarico potrà prenderne 1500.
«Una platea nuova di utenti tra i 22 e i 30 mila».
Sulla carta è una gran notizia. Poi però, come sempre, c’è la realtà. Perché dietro l’annuncio, c’è una domanda che rimane sospesa: quei 45, resteranno? Il dottor Antonello Desole è uno che questi ragazzi li conosce per nome. «Metà vengono da Cagliari, metà da Sassari. Quelli di Sassari li ho seguiti io, tre anni insieme. Sono il coordinatore della scuola di formazione, li ho visti crescere, studiare, fare notti sui libri».
Desole è anche segretario provinciale della Fimmg. «Sì, sono specializzati. Ma non è che adesso, solo perché hanno il diploma, si mettono la valigetta in mano e corrono nelle zone disagiate della Sardegna». Perché c’è un concetto che per Desole deve essere chiaritoo una volta per tutte: «Non basta formare un medico, bisogna anche metterlo nelle condizioni di restare». C’è un esempio che rende bene l’idea: «Con mille pazienti gestire un ambulatoria era già un’impresa. Con 1500, da soli, diventa una follia. Basta fare una media: se ti chiamasse il 10% al giorno, sono 150 telefonate. Se invece ti contatta appena il 2%, sono già 30 telefonate quotidiane. Aggiungi le mail, i messaggi WhatsApp, le ricette, le visite. Diventa insostenibile. Per far funzionare lo studio servono rinforzi».
Il punto, secondo Desole, è che abilitare un medico non significa automaticamente trattenerlo nel sistema pubblico. «Questi 44 nuovi specializzati possono acquisire incarichi, ma non è detto che lo faranno. Potrebbero anche scegliere altre strade, dal privato alla medicina estetica», avverte. Il motivo? Le condizioni lavorative non sono ancora adeguate. Il tema cruciale è quello delle cosiddette “regole di ingaggio”. «Se non li mettiamo in condizione di lavorare – con studi organizzati, personale di supporto, segreterie, infermieri – questi medici non rimarranno nelle zone difficili, e forse nemmeno in Sardegna», sottolinea Antonello Desole. Una speranza arriva da un recente provvedimento della Giunta regionale. «Negli ultimi 20 giorni è stato stanziato un fondo importante: 15 milioni di euro per la medicina generale», spiega Desole. «Se questi soldi verranno utilizzati per indennità di studio, di gruppo, per le Aggregazioni Funzionali Territoriali (Aft), allora potremmo parlare davvero di un’opportunità».
Il medico sassarese insiste su un punto: «Le indennità non sono “premi” ma strumenti di sopravvivenza per il sistema. Dieci euro a paziente all’anno non vanno in tasca al medico. Alla fine sono circa 800 euro al mese. Servono per pagare un infermiere, una segretaria, qualcuno che gestisca le ricette, le telefonate, le mail».
Infine, l’allarme: formare un medico costa allo Stato quasi un milione di euro. «Se poi lo perdiamo perché non gli creiamo condizioni dignitose per lavorare, è uno spreco enorme. In Francia o in Svizzera gli offrono anche 15 mila euro al mese. Lì producono, da noi li abbiamo formati e lasciati andare». «Avere più medici è una bella notizia - conclude Desole - ma è solo l’inizio. Ora dobbiamo trattenerli, renderli protagonisti di una sanità pubblica efficace e sostenibile. Altrimenti, li perderemo uno a uno». Un dato lo tiene sul comodino: «Ogni medico che se ne va, è un milione di euro buttati via. Se ne partono dieci, sono dieci milioni. Cento, cento milioni. Una fuga che fa male due volte: ai pazienti e al portafoglio pubblico». Certo, qualcosa si muove. Ma servono regole nuove. “Regole di ingaggio”, le chiama Desole. Chiare, giuste, stabili. Altrimenti quei 45 sorrisi di oggi rischiano di svanire. E con loro, se ne andrebbe un tassello fondamentale per la sanità. (lu.so.)