Centrali a carbone di Fiume Santo e Portovesme: lo stop slitta
Dopo la lettera di Terna, il Ministero ha attivato le procedure di proroga
Sassari La sfida più importante è il graduale abbandono del carbone. Ma finora le scadenze ipotizzate - a testimonianza della complessità dell’operazione - sono saltate e necessariamente riaggiornate. L’ultima tappa in ordine di tempo è stata tracciata in questi giorni e riguarda la centrale termoelettrica di Fiume Santo di EP Produzione e quella del Sulcis Iglesiente di Enel Produzione. Terna (Rete elettrica nazionale) ha da poco trasmesso un aggiornamento in merito alle prospettive di funzionamento delle due centrali specificando che entrambe sono tuttora necessarie per l’esercizio in sicurezza del sistema elettrico in Sardegna, e questo nelle more dell’entrata in esercizio della nuova capacità di stoccaggio elettrico e del Tyrrhenian Link.
In particolare, Terna ha segnalato l’esigenza di mantenere in esercizio due unità produttive di Fiume Santo e due del Sulcis fino a giugno 2026 (escludendo quindi il phase-out al 31 dicembre 2025); e almeno una unità di produzione di energia del Sulcis fino a dicembre 2027 in corrispondenza dell’entrata in servizio del primo cavo del ramo ovest del Tyrrhenian Link e almeno una di Fiume Santo fino a dicembre 2028 scadenza per la quale è ipotizzato il completamento del Tyrrhenian.
Il ministero dell’Ambiente della Sicurezza energetica - Dipartimento energia, direzione generale Mercati e infrastrutture energetiche ha avviato le iniziative di competenza del rinnovo dell’Autorizzazione integrata ambientale per la proroga del termine per la cessazione definitiva dell’utilizzo del carbone nelle centrali di Fiume Santo e del Sulcis. «In considerazione di quanto rappresentato da Terna – è scritto nella nota del Ministero – e del rischio che la messa fuori servizio anzitempo degli impianti interessati possa avere serie ricadute sul sistema elettrico sardo, si ritiene necessario il mantenimento in servizio delle due centrali di Ep ed Enel nei termini e con le modalità indicate e chiede che vengano adottati i conseguenti provvedimenti autorizzativi».
C’è da dire che nel Piano nazionale integrato energia e clima, il percorso era già stato definito in maniera chiara per quanto riguarda l’aspetto industriale e ora l’indicazione viene recepita anche per quanto concerne gli aspetti di carattere ambientale (il Pniec è lo strumento con cui gli stati membri identificano politiche e misure per il raggiungimento degli obiettivi energia e clima al 2030). La comunicazione di Terna trasmessa al Mase, inoltre, evidenziava la necessità che gli impianti di Fiume Santo e del Sulcis «assicurino la disponibilità, e quindi la massima affidabilità, dell’impianto in tutte le ore dell’anno, per garantirne la possibilità del relativo avviamento in caso di necessità, ponendo all’attenzione l’opportunità, tenuto conto della vetustà degli stessi e del maggiore rischio di indisponibilità, di mantenimento in servizio di una eventuale ridondanza». Il vero problema è che la dismissione degli impianti a carbone deve essere accompagnata dallo sviluppo di nuova capacità di generazione programmabile o da sistemi di accumulo, per complessivi 400 Mw. Per realizzare il complesso progetto, è necessario che tutti i pezzi del puzzle vadano al loro posto per tempi e realizzazioni effettive. Se uno dei tasselli dovesse saltare, infatti, il phase-out non andrebbe a compimento, almeno non nei tempi previsti dal Pniec. Per Fiume Santo, Ep punto sul progetto Energy Park: per la riconversione della centrale in vista del phase-out del carbone è previsto un miliardo di euro di investimenti e 300 nuovi posti di lavoro a regime. Un mix energetico con unità a ciclo combinato alimentate a gas, riconversione a biomassa di una delle unità a carbone, impianti fotovoltaici, sistemi di accumulo a batterie, elettrolizzatori per produrre idrogeno verde.