Canyon di Caprera, in Gallura i cetacei hanno la loro oasi
Pubblicato lo studio di Seame Sardinia: nove anni di monitoraggio e 126 spedizioni
C’era l’ipotesi che fosse un importante habitat per i cetacei, ma ora ce n’è l’assoluta certezza. Grazie allo studio scientifico condotto da Seame Sardinia, una onlus di La Maddalena presieduta dal naturalista e dottore di ricerca Luca Bittau, con il contributo di One ocean foundation, il Canyon di Caprera è per la prima volta diventato oggetto di un’indagine (ora pubblicata su Plos one) che, nel corso di 9 anni di raccolta dati, 216 spedizioni, 30mila km di navigazione in oltre 8mila km di mare, ha confermato le supposizioni. Quell’area pelagica è una vera e propria oasi – soprattutto in estate, quando nel resto del Mediterraneo il nutrimento potrebbe scarseggiare – per sette specie diverse di cetacei osservate, che lì si alimentano, si riproducono, allevano i propri cuccioli, trascorrono intere stagioni e si spostano, creando anche dei veri e propri corridoi migratori. Ma non solo, perché lo studio a cui è seguita la recente pubblicazione di un articolo, oltre ad esser stato un pungolo anche per altri approfondimenti, come le ricerche portate avanti dalla stessa One ocean foundation, mira principalmente a rendere quell’area una zona di tutela a tutti gli effetti. Oltre ai cetacei, poi, l’area ospita altre specie di rilevanza ecologica e conservazionistica, come le tartarughe marine, i pesci cartilaginei come la mobula e varie specie di squali e uccelli marini. «Per la precisione – spiega Luca Bittau – le specie di cetacei osservate sono state otto. Una, però, il Mesoplodonte di Sowerby di cui abbiamo osservato un solo individuo, proviene dall’Oceano Atlantico e su di esso nel 2017 abbiamo pubblicato uno studio apposito». Tra le altre sette specie, quelle più comunemente osservate dalle imbarcazioni – fondamentale il contributo di Orso diving – sono state la stenella striata, lo zifio – che ora è l’obiettivo target di Seame Sardinia – e la balenottera comune, ma anche il capodoglio, il delfino comune e il grampo. «Questo studio è molto importante – continua Bittau – innanzitutto perché è stato il primo in quell’area, ma anche perché, diversamente da altri, è stato condotto raccogliendo dati da avvistamenti diretti – 1110 quelli effettuati – e facendo foto identificazioni». L’obiettivo principale dei ricercatori però – che, oltre a Luca Bittau, sono Renata Manconi, Mariliana Leotta, Rossana Tenerelli, Mattia Cristina Leone, Elena Fontanesi, Federica Fonda, Ginevra Boldrocchi, Sandro Carniel, Rocco Tiberti – era attirare l’attenzione sull’area. «L’articolo – prosegue il presidente – potrebbe far sì che, dopo le considerazioni degli esperti della Iucn, l’Unione internazionale per la conservazione della natura, la zona passi da area candidata ad area Imma, cioè di importanza prioritaria e, in un secondo passaggio, ad area tutelata». E a quel punto si potrebbe decidere di intervenire in diversi modi. Intanto, però, l’attività di Seame Sardinia ha già stimolato altri studi, come quelli portati avanti da One ocean foundation. «Il team di One ocean – continua Luca Bittau – il cui contributo per noi è di importanza vitale, stanno portando avanti delle ricerche su fondali e sul Dna ambientale, che, attraverso dei campioni di acqua, gli permette di raccogliere informazioni su diverse specie marine». One ocean foundation, poi, ha assunto un ruolo di guida nella tutela dell’area e vuole far sì che nel tempo il Canyon ottenga il riconoscimento come Fisheries restricted area e, entro il 2030, la designazione come Area marina protetta.