Operaio morto alla Gesam, no all’archiviazione per 3 indagati
Il gip: «Il pm formuli l’accusa per dirigenti e consulente della società entro dieci giorni»
Sassari Quando mancano solo tre giorni al terzo anniversario della morte di Antonio Masia – l’operaio sassarese di 53 anni trovato senza vita il 25 luglio 2022 nell’impianto di smaltimento rifiuti di Truncu Reale – arriva l’ennesimo colpo di scena nell’inchiesta aperta dalla Procura per far luce sulla tragedia.
Ieri mattina il gip Giuseppe Grotteria, partendo dal presupposto che Masia – alla luce delle indagini dello Spresal e in assenza di altre concrete ipotesi alternative – sarebbe stato investito e ucciso da un collega che era alla guida di un automezzo, ha anche stabilito che quell’evento è dipeso dalla violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro. Che, se rispettate, avrebbero potuto prevenire l’incidente mortale.
Per questa ragione il giudice – accogliendo l’opposizione alla richiesta di archiviazione della pm Maria Paola Asara proposta dagli avvocati di parte civile Daniele Alicicco e Francesca Fiori – ha ordinato al pubblico ministero di formulare entro dieci giorni l’imputazione di omicidio colposo a carico del dirigente dell’azienda Gesam, Innocenzo Mario Giannasi, 66 anni, (difeso dall’avvocato Giorgio Murino), del presidente e legale rappresentante della società, Antonello Cesaraccio (69 anni) e dell’ingegnere Michela Paola Piera Coppola (75 anni) consulente esterna all’azienda Gesam per gli aspetti legati alla sicurezza, entrambi difesi dall’avvocato Nicola Lucchi.
Antonio Masia era stato trovato senza vita il pomeriggio del 25 luglio del 2022 schiacciato – aveva stabilito l’esame autoptico – da un mezzo di lavoro all’interno dell’impianto della Gesam, distrutto poi da un gigantesco incendio, poche ore dopo la visita degli investigatori della squadra mobile e il sequestro dei telefoni cellulari dei 35 dipendenti. Un rogo certamente doloso, avevano stabilito gli inquirenti.
Lo scorso marzo il giudice dell’udienza preliminare Sergio De Luca ha assolto – per non aver commesso il fatto – l’unico imputato, Fabiano Mario Saba, l’operaio 50enne collega della vittima (assistito dall’avvocato Luca Sciaccaluga) finito a processo con l’accusa di omicidio colposo, con l’ipotesi che si trovasse alla guida del muletto che provocò la morte di Masia. Troppi dubbi e poche prove sul fatto che ci fosse lui sul mezzo e che avesse poi occultato il cadavere.
All’indomani di quel verdetto (che nel frattempo è stato impugnato e per il quale è fissato il processo d’appello a ottobre) i legali della famiglia avevano espresso rammarico: «Se a tutto ciò – avevano detto – aggiungiamo la clamorosa assenza originaria di indagini in materia di sicurezza sul lavoro, la tardiva iscrizione nel registro degli indagati dei vertici Gesam, avvenuta due anni dopo, e la discutibile richiesta di archiviazione del pm, è scontato che i familiari del povero Antonio Masia non possano essere soddisfatti dei risultati, fino ad oggi, raggiunti nella ricerca delle cause della morte del loro congiunto».
Ecco perché la novità giudiziaria di ieri rappresenta una grande vittoria: «Finalmente vediamo i frutti delle nostre battaglie – hanno dichiarato i legali Alicicco e Fiori – Il giudice ha letto e ascoltato le nostre posizioni e soprattutto le ha condivise. Ora si andrà in udienza preliminare». Commossa la vedova di Masia, Rita Coco: «Vediamo finalmente uno spiraglio all’orizzonte».