La Nuova Sardegna

L’intervista

Ecco come il trapianto di midollo cambia il destino dei pazienti malati di leucemia

di Luigi Soriga
Ecco come il trapianto di midollo cambia il destino dei pazienti malati di leucemia

L’ematologo Claudio Fozza (Aou Sassari): «Non è un intervento, è come una trasfusione»

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 Sassari Trent’anni fa la chiamavano fulminante. La leucemia che ti prendeva e ti portava via, in poche settimane. Oggi non è più così. Oggi c’è la scienza. Ci sono i farmaci. Ci sono i trapianti. E ci sono storie come quella di Achille Polonara, che sta per entrare nella fase più dura, ma anche più promettente della sua terapia: il trapianto di midollo osseo. A raccontare cosa significa è il professor Claudio Fozza, direttore di Ematologia a Sassari. «Trent’anni fa la leucemia non dava scampo. Oggi non è più così: le aspettative di vita per chi si sottopone a trapianto del midollo, soprattutto se giovane e in buona condizione generale, sono molto alte. I due terzi dei malati di leucemia ormai sono candidati a questo tipo di trattamento».

Ma non è solo sostituzione. È anche un’arma di precisione. «Il trapianto di midollo ha una grandissima efficacia perché le nuove cellule infuse attivano dei meccanismi immunologici estremamente mirati. Vanno a scovare le cellule neoplastiche e le distruggono in maniera molto precisa». Il trapianto non richiede il bisturi, non è un’operazione chirurgica. «Si tratta di una procedura medica complessa, ma che tecnicamente avviene con una semplice infusione in vena delle cellule staminali. Un po’ come una trasfusione di sangue. La parte più impegnativa è la preparazione: il paziente riceve chemioterapia ad alte dosi, per azzerare il midollo malato e fare spazio a quello nuovo». Poi il tempo sospeso. «Nel giro di due o tre settimane il nuovo midollo comincia a produrre globuli rossi, bianchi e piastrine. È l’attecchimento. Da quel momento inizia la ricostruzione del sistema immunitario, un percorso che richiede mesi».

Resta il rischio, sempre. «L’incognita principale è rappresentata dalle infezioni, perché il sistema immunitario viene azzerato e l’organismo non ha difese. Nel caso di trapianto da donatore, inoltre, esiste la possibilità di rigetto: le cellule nuove possono attaccare i tessuti del paziente. Ma oggi abbiamo farmaci efficaci per ridurre questo rischio».

Ci sono diversi tipi di trapianto. «L’autotrapianto si utilizza soprattutto nei linfomi e nei mielomi, quando il paziente risponde bene alla terapia iniziale. Il trapianto da donatore invece è preferibile nelle leucemie acute e nei casi di recidiva. I donatori si trovano spesso all’interno della famiglia, ma se non c’è compatibilità possiamo cercarli nei registri internazionali, dove sono iscritti milioni di potenziali donatori».

Le cifre dicono la differenza. Nei trapianti autologhi la probabilità di successo è molto alta, le statistiche parlano dell’80–90%. Nei trapianti da donatore le percentuali arrivano anche al 70%. E dopo? Dopo inizia un altro viaggio. «Servono almeno sei mesi per tornare a una vita quasi normale. All’inizio occorre grande attenzione all’alimentazione, all’igiene, ai contatti sociali. Ma con la giusta protezione e il supporto della famiglia, il recupero è possibile». La parola chiave è fiducia. «Il trapianto di midollo non è più un salto nel buio. Oggi possiamo dire ai pazienti che hanno davanti a sé una prospettiva concreta di guarigione e di ritorno alla vita».

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