La Nuova Sardegna

Speciale inclusione

Nazaro Pagano: «Serve più autonomia reale e bisogna superare le barriere culturali»

di Massimo Sechi
Nazaro Pagano: «Serve più autonomia reale e bisogna superare le barriere culturali»

Il presidente dell’Anmic e della Fand: «La 104 una pietra miliare ma non è stata applicata e compresa completamente»

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«La disabilità non può diventare una bandierina da sventolare per la politica o per l’audience: nelle case dove c’è una persona con disabilità c’è fatica quotidiana. Oggi servono progetti che funzionino davvero; tra dieci anni voglio vedere più autonomia nell’abitare, nel lavoro, nella partecipazione: prima cittadini, poi persone con una condizione di disabilità». Nazaro Pagano, presidente della Fand e dell’Anmic, mette in fila luci e ombre: dopo la pandemia qualcosa si è mosso, ma resta molto da fare. Al centro dell’intervista la riforma del “progetto di vita” — dalla legge 227/2021 al d.lgs. 62 — e i nodi scuola, lavoro, partecipazione. La sperimentazione è partita in nove province dal 1° gennaio 2025 e l’estensione nazionale è prevista dal 1° gennaio 2027.

Qual è la fotografia di oggi?

«Veniamo da un periodo difficilissimo: la pandemia ha costretto molte persone a casa, con meno assistenza e poca vita sociale. Oggi ci sono luci, ma anche ombre figlie del passato: l’inclusione lavorativa non è pienamente attuata e troppo spesso le persone con disabilità sono viste più come soggetti da assistere che da valorizzare».

A oltre 30 anni dalla 104: cos’è cambiato?

«La 104 è una pietra miliare, ma non è stata compresa e applicata fino in fondo. La si ricorda per pochi passaggi, mentre l’impianto è più ampio. Con la riforma in corso può riacquistare significato se mette la persona con disabilità come soggetto attivo, con pari opportunità e responsabilità».

La riforma del “progetto di vita” è partita: che bilancio fa?

«Non abbiamo ancora progetti monitorati: la sperimentazione, avviata in nove province dal 1° gennaio 2025, ha riguardato soprattutto procedure e atti amministrativi. È in linea con la Convenzione ONU: riforma importante, purché la si faccia funzionare davvero».

Cosa serve per farla funzionare?

«Servono risorse umane, strumentali ed economiche. Sosteniamo la riforma fin dagli albori — dalla legge 227/2021 al d.lgs. 62 — ma tutti gli attori devono partecipare al processo. Preoccupa l’estensione dal 1° gennaio 2027: già oggi il Paese è a macchia di leopardo. Il progetto personalizzato dev’essere omogeneo, con monitoraggi reali, altrimenti produrremo nuove disuguaglianze».

Le priorità della Fand? «Siamo una federazione di associazioni storiche che hanno prerogative di tutela e rappresentanza: da qui la nostra insistenza su tre pilastri di ogni progetto personalizzato. Primo: inclusione scolastica. Secondo: inclusione lavorativa, con accomodamenti ragionevoli. Terzo: inclusione sociale, cioè piena partecipazione alla vita quotidiana e democratica».

C’è stato un cambio culturale? E il ruolo delle famiglie?

«Qualcosa è cambiato, ma la disabilità non deve diventare una bandierina da sbandierare: non è un tema da applauso. Nelle famiglie c’è una fatica quotidiana che va compresa e sostenuta; gli attori principali restano le persone con disabilità e i loro familiari».

Autonomia concreta: che cosa manca ancora?

«Oggi è raro che un ragazzo con disabilità viva da solo o conquisti una piena autonomia. Dobbiamo scardinare vecchie concezioni e creare condizioni reali perché ciascuno avvii il proprio percorso di inclusione, anche superando barriere culturali che resistono».

L’invecchiamento della popolazione preoccupa.

«Molti sono assistiti da genitori molto anziani e l’invecchiamento del Paese aggraverà le difficoltà. Se non interveniamo subito, tra dieci anni la situazione rischia di diventare complicatissima: per questo chiedo più autonomia reale — abitare, lavorare, partecipare — e il riconoscimento anzitutto come cittadini».

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