Il racconto della studentessa Matilde: «Orgogliosa di andare a caccia, è tradizione»
La giovane spiega il suo ruolo di “battitrice”: «Sono la prima donna nella mia compagnia»
Sul tema cinghiali pubblichiamo il contributo di una studentessa che fa parte del progetto LaNuova@scuola
Sassari In Sardegna la caccia al cinghiale è molto più di un’attività venatoria: è tradizione, territorio, comunità. Ogni stagione, all’alba, gruppi di cacciatori si ritrovano per la battuta organizzata. Una pratica antica, regolata e condivisa, dove il capo caccia individua la zona con movimento di selvatici e coordina la squadra. Una squadra che oggi, sempre più spesso, vede anche la presenza femminile: una presenza che rompe uno degli ultimi tabù del mondo rurale, portando una voce nuova in una tradizione profondamente radicata.
La battuta è composta da due ruoli principali. Le poste presidiano i confini della campagna, ferme e silenziose, pronte a intervenire. I battitori, invece, entrano nella macchia insieme ai cani, spingendo i cinghiali verso le linee di tiro. È un lavoro fisico e tecnico, fatto di ascolto, fiato, orientamento e rispetto. E i cani sono parte integrante: riconoscere la cerca, l’accostamento, l’abbaio a fermo e la seguita significa leggere la natura, comprenderla, farne parte.
Io questo ruolo lo vivo in prima persona. Fin da piccola affiancavo mio padre mentre allenava i cani e passavo la settimana ad aspettare la domenica. All’inizio per gioco, poi per scelta e passione. Oggi mi sveglio alle cinque, preparo l’attrezzatura con papà e nel tragitto parliamo di tutto: è un rituale che mi scalda il cuore. Quando arriviamo in campagna e si mollano i cani, inizia una dimensione che è difficile spiegare a chi non l’ha vissuta: camminate nella macchia, risate, adrenalina. Quell’orgoglio profondo nel sentire i cani lavorare, la cui voce è musica antica, un linguaggio fatto di istinto, fatica e lealtà.
Essere battitrice è un onore. Nella mia compagnia, nata nel 1970, non c’era mai stata una donna prima di me. All’inizio mi sentivo osservata, temevo i giudizi, pensavo che mi vedessero come “una che vuole fare la dura”. Poi ho trovato accoglienza e rispetto: mi hanno fatta sentire parte della squadra dal primo giorno. E io stessa ho imparato a camminare a testa alta. Questa sono io: non un “maschiaccio”, ma una ragazza che conosce le sue passioni e le rispetta.
Per qualcuno la caccia è solo uccidere. Per chi la vive davvero, è molto di più: è tradizione, cultura, gestione del territorio e rispetto per l’ambiente. È un legame antico, tramandato di padre in figlia. È una lente attraverso cui si osserva la natura con responsabilità e consapevolezza.
Oggi anche le donne camminano nella macchia all’alba, ascoltano i cani, vivono questa tradizione con passione. Non come eccezione, ma come parte viva e consapevole di una storia che continua. La caccia al cinghiale non è solo colpi e selvaggina. È natura, comunità, identità. E anche noi donne abbiamo il nostro posto qui, non per dimostrare qualcosa, ma perché ci siamo nate dentro e ci crediamo.
* Matilde frequenta il Liceo Margherita di Castelvì a Sassari
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