La Nuova Sardegna

Sassari

I segreti dell’ultimo sequestrato

Ieri a San Pietro il commosso addio a Salvatore Scanu. Non raccontò mai a nessuno l’orrore dei mesi di prigionia. Si sforzava di condurre la vita di sempre, ma non era più lo stesso

11 settembre 2007
4 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. Una folla di familiari, amici e dipendenti ieri pomeriggio ha salutato per l’ultima volta Salvatore Scanu, 75 anni, l’imprenditore ortofrutticolo sassarese spentosi domenica dopo una breve malattia. I funerali sono stati celebrati a San Pietro in Silki. Tra il 24 dicembre 1990 e il 31 maggio 1991 Scanu fu prigioniero di una banda spietata. Un sequestro di persona drammatico, il suo, segnato dalla mutilazione: i sequestratori gli mozzarono il lobo di un orecchio per costringere i familiari a pagare il riscatto.

 Salvatore Scanu era tornato a casa dalla prigionia molto provato. Silenzioso lo era da sempre, ma quei cinque terribili mesi trascorsi dentro una grotta nei monti della Barbagia l’avevano fatto chiudere ancora di più in se stesso. Aveva ripreso a lavorare, andava tutte le mattine al mercato all’ingrosso per controllare l’attività, ma non era più stato lui. Non era più riuscito a scambiare le sue classiche battute in sassarese con i dipendenti per strappare loro risate anche nei momenti più duri del lavoro. Ci provava, ogni tanto, ma erano sprazzi di una vita passata. Ricordi di una esistenza rimasta sepolta in quella grotta sperduta nei monti di Orgosolo. Salvatore Scanu era tornato a casa, ma parte della sua anima era rimasta in quel cunicolo.

 Di quei cinque mesi, Salvatore Scanu non ha mai voluto parlare con nessuno. Ha tenuto dentro le sofferenze, le umiliazioni, la rabbia. Neppure al processo aveva parlato più di tanto. Spezzoni di una storia terribile con morti ammazzati e tragedie accadute durante il sequestro, brandelli di una vicenda ancora oggi avvolta nel mistero e ormai destinata a restarci per sempre. Salvatore Scanu ai giudici aveva raccontato solo pochi particolari di quella prigionia: i nomignoli con i quali chiamava i suoi carcerieri, i pochi spostamenti fatti, il modo in cui contava i giorni, le lettere scritte ai familiari e il momento del taglio dell’orecchio: «Mi hanno fatto bere acquavite fino a ubriacarmi, poi il sequestratore più alto, che per entrare nella grotta si piegava come un giunco, mi si era avvicinato e, dopo essersi scusato, mi aveva fatto piegare la testa. Avevo sentito una fitta e basta. Mi ero addormentato subito. L’indomani mattina mi ero risvegliato con la testa fasciata e l’orecchio non c’era più».

 Niente altro. Nulla che potesse far risalire ai sequestratori. E, infatti, nessuno è mai stato condannato per il sequestro di Salvatore Scanu. Titolare insieme al fratello Gesuino, ai figli e ai nipoti di un’avviatissima attività commerciale all’ingrosso nel settore dell’ortofrutta, Salvatore Scanu era stato rapito all’alba della vigilia di Natale del 1990 davanti al cancello della sua villa immersa nel verde nelle campagne di Piandanna.
 L’allarme era scattato molte ore dopo. Inutili i posti di blocco e i servizi antisequestro, i rapitori avevano avevano avuto quasi tre ore di tempo per allontanarsi da Sassari e raggiungere il primo nascondiglio (nelle campagne di Borore, vicino allo svincolo della 131) e aspettare che le acque si calmassero prima di trasferire l’ostaggio nella grotta-prigione sui monti di Orgosolo. L’auto di Salvatore Scanu era stata ritrovata quasi un mese dopo nel centro di Nuoro, parcheggiata regolarmente nei pressi dei giardinetti.

 Le trattative per il rilascio erano state molto difficili. I fratelli di Salvatore Scanu (Gesuino e Lorenzo, alto funzionario della Banca di Sassari, morto qualche tempo fa) avevano attivato tutti i canali per contattare i sequestratori, cercando in tutte le maniere di aggirare il blocco dei beni e spesso entrando in contrasto con gli investigatori. A Pasqua del 1991, la famiglia era riuscita ad attivare il contatto giusto e la trattativa sembrava in dirittura d’arrivo, ma il loro emissario, Pier Cosimo Ruggiu (massacrato a fucilate nel 1993 insieme ai genitori Vanni e Caterina Ruggiu, proprietari del ristorante tipico di Orgosolo «Ai monti del Gennargentu») era stato fermato a un posto di blocco con una valigetta contenente gli 800 milioni del riscatto. Nel corso di quell’operazione, era morto, in un incidente stradale, un investigatore della Criminalpol che si stava occupando del sequestro.

 A quel punto le trattative erano andate avanti con maggiori difficoltà e continui contrasti con le forze dell’ordine fino al 31 maggio 1991, quando Salvatore Scanu era stato finalmente rilasciato nelle campagne di Orgosolo. Pochi giorni dopo erano stati arrestati due orgolesi che si erano attivati per il rilascio e che erano stati processati per sequestro di persona insieme Pier Cosimo Ruggiu e a Totoni Corria, il latitante di Orgosolo catturato poco dopo il rilascio di Salvatore Scanu e accusato di essere uno dei suoi custodi.
 I quattro (e un quinto a piede libero, ritenuto il telefonista) erano stati tutti assolti.

 Poi, più nulla. Sul sequestro Scanu era calato il silenzio. Neppure il massacro della famiglia Ruggiu aveva contribuito ad aprire uno spiraglio sulla drammatica vicenda. Silenzio. La sua storia drammatica, le sofferenze e le umiliazioni di quei 5 terribili mesi Salvatore Scanu se l’è tenute dentro. E ora le ha portate con sé per sempre.
In Primo Piano

VIDEO

Il sindaco di Sassari Nanni Campus: «23 anni fa ho sbagliato clamorosamente. Il 25 aprile è la festa di tutti, della pace e della libertà»

L’intervista

L’antifascismo delle donne, la docente di Storia Valeria Deplano: «In 70mila contro l’oppressione»

di Massimo Sechi
Le nostre iniziative