La Nuova Sardegna

Sassari

Su Frailalzu, l’arte antica di forgiare il ferro

di Mario Bonu
Su Frailalzu, l’arte antica di forgiare il ferro

A Osilo il mestiere del fabbro è ormai raro ma l’ottantenne Antonio Nufris mantiene viva la tradizione

10 marzo 2013
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OSILO. C’era un tempo in cui il mestiere del fabbro, “su frailalzu”, rappresentava uno dei perni intorno a cui ruotava l’economia locale. Dalla sua officina - più spesso un “antro” interamente coperto di fuliggine - uscivano zappe e picconi, vomeri e roncole, ringhiere e cancelli, ferri per cavalli e buoi. E l’incudine diffondeva il suo canto dall’alba al tramonto, sabati e - soprattutto nei periodi di intensa attività agraria - domeniche compresi. Poi il mestiere si è evoluto, si è dotato di moderni macchinari che alleviano la fatica dell’uomo, ha cambiato di segno, dal momento che larga parte degli attrezzi allora utilizzati per i lavori agricoli non vengono più richiesti. Così oggi prevale più la lavorazione dell’alluminio che quella del ferro, più il taglio e la saldatura che la forgiatura, seppure a Osilo operino alcune officine in grado di realizzare qualunque manufatto: Marongiu, Urgeghe, Fonsa, Nufris. Ma la poesia del mestiere antico, l’odore della forgia e del carbon coke, se li porta dentro e li racconta “zio” Antonio Nufris, oggi quasi ottantenne, a bottega dall’età di quattordici anni. «La mia era una famiglia di muratori, ma a me quel mestiere non piaceva, volevo fare il calzolaio o il fabbro», racconta Nufris. E il padre, per una volta, non si oppone al volere del figlio, e all’età di quattordici anni lo affida alle “cure” di uno dei grandi fabbri di quei tempi, Pietrino Chessa. Da allora, con brevi intervalli, prima alle dipendenze, poi, a partire dal 1978 per conto proprio, Antonio Nufris, passa la vita a pestare col martello sull’incudine, a forgiare, piegare, stirare, saldare. Agli inizi, le lavorazioni prevalenti erano quelle legate al ciclo agrario, anche se fra i manufatti prodotti nell’officina del fabbro rientravano anche ringhiere e cancelli, porte in ferro e finestre. «Si lavorava anche 12 ore al giorno - ricorda - e soprattutto nel periodo del raccolto o dell’aratura, quando c’era la fila per sistemare un vomere o per ferrare i buoi, si andava avanti anche il sabato e per mezza giornata la domenica. Un lavoro duro e pesante, soprattutto prima dell’avvento di quei macchinari che poi contribuirono ad alleviare la fatica del fabbro: trapani, troncatrici elettriche, saldatrici, smerigliatrici. «Prima quando non esisteva la saldatrice e i pezzi si univano forandoli con il trapano a mano e fissandoli con i chiodi ribattuti, quando il ferro lo si segava a forza di olio di gomito, o il filo di una roncola o di una scure lo si faceva a mano con la lima, la fatica era davvero tanta». E ricorda, il vecchio fabbro, come uno dei lavori più impegnativi e complicati fosse quello della realizzazione del puntale di ferro e acciaio per l’aratro di legno, con la ribattuta alternata sull’incudine di due fabbri con mazza e martello. Un lavoro faticoso e impegnativo, che dava molte soddisfazioni «perché vedere un pezzo fatto e finito, che corrisponde alla tua idea iniziale, è sempre un piccolo “miracolo” dell’abilità e della sapienza dell’artigiano».

Ma anche qualche dispiacere, ricorda Antonio Nufris. «Come quando qualche cliente, rimandando di giorno in giorno o di settimana in settimana, finiva col non pagarti il lavoro. E spesso non erano neanche i più poveri», aggiunge con una punta di amarezza. Ma il vecchio fabbro non ha mai perso l’amore per il suo lavoro, e a conclusione della chiacchierata ricorda alcuni dei “pezzi” di cui va più fiero: un letto in ferro battuto che si è fatto per casa sua, un appendiabiti, le ringhiere con le spirali.

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