La Nuova Sardegna

Sassari

Martiri turritani: fede, crisi e speranza

di Gianni Bazzoni
Martiri turritani: fede, crisi e speranza

Porto Torres, migliaia di pellegrini dal 3 maggio nel santuario di Balai dove sono presenti i simulacri di Gavino, Proto e Gianuario

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PORTO TORRES. Un viaggio nella preghiera ma anche nella storia, un fenomeno che si rinnova da più di 1700 anni - dal giorno del martirio - e che si rafforza con il passare del tempo arrivando a coinvolgere anche tanti giovani che, notoriamente, girano al largo da cerimonie religiose e appuntamenti sacri.

Dalla sera del 3 maggio i simulacri dei martiri Gavino, Proto e Gianuario si trovano nella chiesetta rupestre di Balai vicino, il piccolo santuario costruito sulla scogliera a picco sul mare. E da quel momento è cominciato un pellegrinaggio di migliaia di persone, un viaggio quotidiano che si interromperà solo la sera di Pentecoste, quando in processione “i tre santi” verranno riportati nella basilica di San Gavino. Arrivano da ogni parte, non solo dal territorio ma anche dai centri più lontani della Sardegna (dove è venerato San Gavino) e anche dalla penisola.

Per la Chiesa è «il popolo della fede in cammino sui sentieri dei martiri turritani». Per la gente comune, le famiglie in difficoltà, i disoccupati, gli ammalati e chi vive nella sofferenza, quel santuario che si ravviva dal 3 maggio alla domenica di Pentecoste è il simbolo di una speranza, un luogo dove ritrovarsi per pregare, per fermarsi in raccoglimento a riflettere. Ma anche per «chiedere un aiuto» ai santi Gavino, Proto e Gianuario.

Silenzio, l’odore della cera delle candele e quello tipico di una grotta umida scavata nella roccia dove - sul lato destro, lungo il muro - sono sistemate le statue dei santi. Un cuore rosso poggiato su San Gavino, ex voto infilati nei buchi della parete, piccole foto lasciano intendere che lì qualcuno si è fermato per un attimo a chiedere una mano.

Un fenomeno che è cresciuto, perché c’è un fiume di persone “disarmate”, che vivono nella difficoltà e nel disagio, e quel rapporto con i santi patroni è diventato un qualcosa difficile da spiegare. No, non è una questione di convenienza, c’è proprio il senso di una speranza collettiva dietro quei passi compiuti lungo la ripida scalinata e fino alla chiesetta.

C’è chi è sempre lì, mattina e sera. E chi ci passa di nascosto, guardandosi dietro come se avesse vergogna di essere riconosciuto, di essere visto dagli altri del gruppo «che in chiesa non ci vanno». E’ così, un filone da studiare.

Poggiano un fiore, accendono un cero, accarezzano i piedi quelle statue. I ragazzi con il casco infilato sotto braccio, che magari hanno parcheggiato la moto dall’altra parte della strada, li trovi nei momenti più tranquilli, in tarda mattinata e subito dopo pranzo. Entrano a passo svelto, toccata e fuga. Ma ci vanno.

«Una promessa? Sì, diciamo così – racconta Francesco, studente alle superiori. A casa le cose non vanno benissimo, mio padre ha perso il lavoro. Ho chiesto una mano ai santi, come tanti. Non si può?».

Sì che si può. La città è in ginocchio, schiacciata da una crisi pesantissima che ha spazzato via le certezze essenziali: il lavoro, la tranquillità economica. E la gente si mette in cammino, prova a reagire, immagina una rivoluzione che passa per i simboli, i luoghi della storia e della fede.

Difficile da spiegare e da capire. Si può solo raccontare, invitare a vedere un fenomeno che si ripete. Lo stesso che nella notte tra il sabato e la domenica di Pentecoste spinge centinaia di persone a partire a piedi da Sassari e dai centri del circondario a percorrere a piedi il viaggio fino a Porto Torres. Fino a San Gavino, lungo un solco rimasto intatto.

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(foto Fabio Rosas)

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