Morte in cantiere, imputati in aula
Il processo per la tragedia di Fiume Santo: nel 2008 un operaio perse la vita dopo un volo di 20 metri
SASSARI. Erano in tutto cinque le persone finite sotto processo per la morte di Ettore Crucianelli, l’operaio di 38 anni di Cagliari precipitato nel 2008 da un’altezza di 20 metri nel cantiere di Fiume Santo della società «Terna SpA», dove era in fase di costruzione la stazione elettrica di conversione da cui sarebbe poi partito il cavo sottomarino Sapei.
Ieri mattina davanti al giudice monocratico Marina Capitta sono stati sentiti tre tecnici (imputati) che operavano nel cantiere dove avvenne la tragedia. Hanno risposto alle domande del sostituto procuratore della Repubblica Giovanni Porcheddu, titolare dell’inchiesta, che a suo tempo aveva iscritto nel registro degli indagati il presidente del consiglio d’amministrazione dell’Associazione temporanea d’impresa Pellegrini srl-Acmar SpA (la società mandataria), il presidente e il legale rappresentante della Società cooperativa «A.E.G.» di Pimentel (che aveva ottenuto il subappalto e della quale la vittima era socio-lavoratore), il capo cantiere e il direttore tecnico.
Stando a una prima ricostruzione fornita all’epoca, sembra che Crucianelli fosse salito in quota attraverso l’impalcatura realizzata sulla parte frontale della struttura in cemento armato, quindi avesse raggiunto una passerella dotata di barriera di protezione. A quel punto si sarebbe arrampicato lungo la griglia di ferri incrociati per affacciarsi verso l’interno, dove il giorno seguente doveva essere effettuata la colata di cemento armato. Per fare ciò, si sarebbe aggrappato a una delle verghe di ferro proiettate verso l’alto che avrebbe ceduto. Senza più appiglio, l’operaio avrebbe perso l’equilibrio e sarebbe caduto all’indietro superando la barriera di protezione. Un volo di 20 metri, senza alcuna possibilità di salvezza. A nulla era servito il caschetto che la vittima indossava. Il primo esame del medico legale – su richiesta del magistrato – avrebbe allora anche evidenziato il disperato tentativo di reazione del lavoratore che sarebbe arrivato al suolo con le braccia protese in avanti, con la speranza (l’unica in quel momento) di limitare i danni.
Ieri mattina l’ingegnere Tronci (dell’impresa Pellegrini) ha spiegato nel dettaglio le modalità con le quali veniva realizzata e posizionata l’armatura del calcestruzzo e ha ricordato come il giorno dell’incidente si stessero «facendo gli approntamenti per la chiusura della parete che avrebbe poi consentito il gettito del calcestruzzo». Tronci ha anche spiegato come i controlli di sicurezza nel cantiere fossero costanti: «C’era sempre un responsabile fisso di Terna più un coordinatore della sicurezza. La A.E.G ha sempre rispettato le misure di sicurezza, anche i dispositivi individuali». Dichiarazioni confermate anche dall’altro teste, Roberto Pitzalis, capocantiere della Pellegrini: «Il giorno ero lì, seguivo tutte le fasi di lavoro, gli operai usavano sempre i dispositivi di sicurezza. Crucianelli l’ho visto a terra, aveva il dispositivo anticaduta che si aggancia alle barre di ferro dell’armatura». Ma evidentemente qualcosa non funzionò. Spetterà al giudice stabilire se e quali responsabilità ci furono quel giorno del 2008.