La Nuova Sardegna

Sassari

«Non ha rapito il compagno di scuola»

di Gianni Bazzoni
«Non ha rapito il compagno di scuola»

L’avvocato Mura: «Antonio Faedda è innocente e deve essere assolto. Nessuna certezza, lui non era uno della banda»

24 novembre 2015
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SASSARI. É stato compagno di scuola di Titti Pinna, l’ultimo sequestrato in Sardegna tenuto prigioniero per più di otto mesi in condizioni bestiali, tanto che i giudici di primo grado hanno riconosciuto per chi è già stato condannato in via definitiva a 30 anni (Salvatore Atzas di Sedilo) l’aggravante della crudeltà. Antonio Faedda, allevatore di Grosseto ma da tempo residente a Giave, è imputato di essere uno dei componenti della banda che il 19 settembre del 2006 ha sequestrato quel compagno di scuola.

Da circa due anni è in carcere, Antonio Faedda, insieme a Giovanni Maria “Mimmiu” Manca, e ieri mattina l’avvocato Gian Marco Mura - in risposta all’accusa che ha chiesto la condanna a 24 anni di reclusione - ha sollecitato l’assoluzione per il suo assistito per non avere commesso il fatto.

A conclusione della sua arringa - durata circa quattro ore - il difensore (così come aveva fatto il collega Asole per Manca, nell’udienza precedente) - ha anche indicato l’altra eventualità: in subordine, l’assoluzione sulla base di quanto previsto dal secondo comma dell’articolo 530 del Codice di procedura penale (l’ex insufficienza di prove). Ha parlato di processo indiziario, l’avvocato Mura, e riferendosi all’accusa - che ha citato le tessere di un mosaico che si tengono insieme - ha fatto invece l’esempio «di un sarto che cucisce pezzi non di qualità, e questo è un vestito che si strappa». Una difesa appassionata quella di Gian Marco Mura, cominciata ricordando «il mio maestro», l’avvocato Giannino Guiso e un suo richiamo: «In Italia nessuno ha diritto a una assoluzione ma tutti hanno diritto a un processo giusto».

Il legale ha evocato più volte «la necessità di un ancoraggio alle certezze, senza le quali non si può arrivare a una sentenza di condanna».

La fuga. «L’ostaggio non è stato liberato dai sequestratori e neppure dallo Stato – ha detto Gian Marco Mura – è scappato l’ultimo giorno utile, deve la libertà a se stesso, alla sua grande fede. Fino a quel momento, per ammissione dello stesso pm, gli inquirenti non avevano idea di dove fosse Titti Pinna».

Innocente. Antonio Faedda - secondo il legale, non c’entra con il sequestro, in nessun modo. «Non era uno dei componenti del gruppo di prelievo – dice Mura – perché è lo stesso ostaggio a escluderlo, con la descrizione fisica dei tre che l’hanno preso a Monti Frusciu. E poi sono stati compagni di scuola, e l’ostaggio avrebbe riconosciuto sicuramente la sua voce».

Cocco inattendibile. L’avvocato Mura ha dedicato un ampio capitolo al testimone chiave Carlo Cocco. «Non mi interessa se è bugiardo, come operatore di giustizia a me però interessa se è attendibile. E dalle versioni che ha fornito, spesso contrastanti e poi senza giustificazione (“non ricordo”; “non me lo so spiegare”, davanti al gup di Cagliari in incidente probatorio) emerge che il suo racconto è smentito dai fatti».

Faedda attendibile. Per il legale, il suo assistito invece è attendibile. «Avrebbe potuto raccontare cose non vere – afferma – invece ha scelto di dire la verità, senza problemi. A cominciare dalla telefonata ricevuta da Mimmiu Manca il pomeriggio del sequestro. Quando utilizza il cellulare di Carlo Cocco. Manca telefona e pronuncia la famosa frase “Calados che sunu”. Faedda lo ha riferito nelle dichiarazioni spontanee, poteva dire che la chiamata l’aveva fatta Cocco, tanto non c’è’ intercettazione, solo il tabulato telefonico. Eppure non lo fa, se fosse un sequestratore avrebbe nascosto tutto. La verità è che quella chiamata serviva per chiedere se Faedda aveva dei capretti da dare a degli amici di Manca a Nulvi. E l’interlocutore parla davanti a Cocco, quindi anche quest’ultimo è uno della banda? Altrimenti perché fargli sentire il contenuto segreto della chiamata? E poi cosa fa Faedda? Anzichè preoccuparsi di dare il via alla ipotetica banda, si preoccupa di chiamare il tecnico per fare riparare lo scaldino a casa della mamma: e questo in pieno sequestro?».

Il passaggio. Riguardo alla telefonata della sera tra Manca e Faedda, l’avvocato Mura ha ribadito quanto già dichiarato dall’imputato in aula. «Manca gli chiede se può andare a riprenderlo a Nulvi dove deve consegnare il mezzo dell’azienda: Faedda non sa neppure che si tratta del famoso Kangoo. Dice solo che non può perché si è organizzato diversamente la serata, deve andare a Sassari. E Manca lo richiama per dire che si è fatto accompagnare dal nipote».

Le celle. L’avvocato Mura ha ricordato che l’utenza di Faedda non viene mai agganciata dalle celle telefoniche oltre Macomer. «Ma se faceva la staffetta - come sostiene l’accusa - come avrebbe segnalato all’auto dei sequestratori che la strada era libera durante il percorso? Non esiste alcun contatto. Eppure l’ostaggio arriva a destinazione a Lochele, dall’ovile in uso a Atzas da dove alle 18.04 viene fatta fare la prima chiamata da Titti Pinna alla famiglia».

La Punto. La Punto di Titti Pinna, con la quale viene portato via dai sequestratori, viene abbandonata poco dopo nei pressi dell’ovile di Antonio Faedda. «Se Faedda fosse stato coinvolto nel sequestro avrebbe fatto abbandonare l’auto in un altro posto qualsiasi, sarebbe stupido fare trovare la Punto sotto casa».

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