La Nuova Sardegna

Sassari

«Manca e Faedda hanno agito insieme»

di Gianni Bazzoni
«Manca e Faedda hanno agito insieme»

Depositate dai giudici della corte d’assise le motivazioni della sentenza di condanna degli imputati a 28 e 25 anni di carcere

10 maggio 2016
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SASSARI. Quadro indiziario grave, certo, preciso e concordante sulla loro compartecipazione al sequestro di Titti Pinna. Per questo la corte d’assise presieduta da Pietro Fanile (a latere Teresa Castagna) il 3 dicembre dello scorso anno ha condannato gli imputati Giovanni Maria “Mimmiu” Manca, 54 anni, e Antonio Faedda, di 47, rispettivamente a 28 e 25 anni di reclusione per il sequestro dell’allevatore di Bonorva Titti Pinna.

Le motivazioni di quello che è stato battezzato come il processo-bis sono state depositate il 29 aprile e sottolineano in maniera chiara la decisione assunta dalla Corte. La pena inferiore inflitta a Faedda è giustificata con «il ruolo di minore spessore svolto», mentre per Manca viene indicata «non solo la sua partecipazione alla fase del prelievo dell’ostaggio (con la telefonata che ha dato l’avvio all’operazione), con riferimento in particolare al suo trasporto dal luogo della prima sosta e fino a quello che è stato denominato “ovile dei maialetti” (il posto dove Titti Pinna, dietro minaccia di essere dato in pasto ai maiali, viene costretto a telefonare ai familiari per comunicare la cifra del riscatto: 300mila euro), ma anche in quell a successiva delle trattative». Nelle motivazioni dei giudici, “Mimmiu” Manca viene confermato - come emerso dalla lunga fase delle indagini sotto il coordinamento della Dda di Cagliari e del procuratore Gilberto Ganassi - la persona «che ha fornito a padre Pinuccio Solinas le indicazioni per un primo incontro con i sequestratori (a Mulargia, ndc)». Per questo all’allevatore di origini nuoresi, ma da tempo stabilito a Bonorva, la corte ha inflitto la condanna «con una misura più prossima al massimo edittale», cioè 28 anni di reclusione. E nelle motivazioni si parla di «intensità del dolo (il delitto per cui si procede implica lo studio delle abitudini della vittima, la sua osservazione e quindi l’organizzazione dei mezzi - il reperimento del veicolo adatto per lo spostamento, il Kangoo dell’azienda edile con la quale Manca collaborava - e dei ruoli), e della capacità a delinquere, desunta non solo dai precedenti penali, ma anche dalla complessiva condotta durante il delitto, incurante delle sorti della vittima, costretta a una disumana prigionia durata oltre otto mesi».

Per il resto, il ragionamento dei giudici, mette in evidenza la solidità della tesi dell’accusa che, partendo dal lavoro fatto per il primo processo (quello che ha portato alla condanna definitiva a 30 anni di reclusione per Salvatore Atzas, l’allevatore di Sedilo considerato il carceriere di Titti Pinna nel “buco nero” di Su Padru (che ha fatto una breve comparsa anche nel processo-bis), ha stabilito ruoli e responsabilità.

Riconosciuta la credibilità di Carlo Cocco, il testimone chiave che peraltro, all’esito dell’istruttoria, «ha trovato decisiva conferma nelle dichiarazioni spontanee rese da Antonio Faedda».

I giudici sottolineano che «è provato che Manca e Atzas si conoscessero da un’epoca antecedente al 2003 (data del famoso spuntino di Paulilatino più volte evocato nel corso del processo).

E a proposito di Carlo Cocco, la Corte ritiene «singolare e privo di plausibile spiegazione logica il comportamento di una persona (nella specie Giovanni Maria Manca) che avendo disponibilità di una propria utenza perfettamente funzionante ed efficiente (che utilizzerà nel corso del pomeriggio) si presenta all’improvviso, in stato di agitazione, a casa di un amico (Carlo Cocco) per effettuare con il suo telefonino una chiamata ad altro amico (Antonio Faedda)». É quella la chiamata che - secondo quanto precisato da Faedda in dibattimento - Manca avrebbe fatto per chiedere disponibilità di capretti per amici di Nulvi: «Che bisogno c’era di andare appositamente a casa di Cocco e chiedergli di fare con la sua utenza, avendone una propria, una innocua comunicazione di tal genere?», sottolineano i giudici che, invece, l’hanno collocata nella fase delle battute iniziali del sequestro. . Tra l’altro Cocco aveva ribadito in sede di incidente probatorio di non avere sentito alcun cenno ai capretti.

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