La Nuova Sardegna

Sassari

“Fabedda”, giornale in sassarese

di Paoletta Farina
“Fabedda”, giornale in sassarese

Lo hanno realizzato gli alunni della IV C di San Giuseppe sotto la guida di un esperto e delle maestre

22 maggio 2016
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SASSARI. «Saruddu a tutti! Semmu la crassi IV C di l’ischora erementari di Santu Giuseppi di Sassari». Comincia così l’«editoriale» dei piccoli alunni-giornalisti che si presentano in edicola con “Fabedda”, interamente scritto in vernacolo. Il «giornari» (numero zero, «abiri-maggiu 2016») è il frutto di un progetto che ha visto uno degli istituti storici cittadini far entrare nelle materie curriculari anche la lingua («perché di lingua si tratta») sassarese. «Una lingua viva, che può essere utilizzata in qualsiasi ambito sociale, che è utile sia per il gioco sia per argomenti più seri: questo vogliamo dimostrare con la pubblicazione del giornale», dice Fabrizio Dettori, l’esperto che con le insegnanti coinvolte ha insegnato agli scolari della IV C, sia dalla prima classe, parole e pronuncia di “lu sassaresu “.

Il progetto è stato portato da Dettori sette anni fa all’attenzione della scuola e da allora non ha avuto interruzioni, grazie ai dirigenti scolastici e al pool di maestre – Gabriella Oggiano, Antonella Spanedda, Monica Ruiu, Maria Rio, Maria Antonietta Stangoni e Giovanna Sanna – che hanno collaborato. Non solo. Anche il decimo circolo ha accolto con favore l’idea e così l’insegnante ora è di casa non soltanto tra i bambini delle primarie di via Oriani, ma anche dell’asilo di via Cottoni.

Al «giornalino» i bambini hanno collaborato con grande entusiasmo proponendo i loro articoli, brevi e semplici, in cui raccontano momenti di svago, esperienze di vita, lo sport o la lettura di un libro . “Una gita”, “Lu Mironi di Marco Polo”, Lu Karate, alcuni titoli. Anche “Lu cumpriannu” è un giorno magico di cui parlare. «L’aggiu fisthiggiaddu a Topolandia Park akì mi piazzi umbé. In kibi tzi sò lo jogghi unfiabiri», scrivono Laura e Delia. Tra le firme anche quelle di Leonid Kolesnik e Kimberly Onwuchekva, ucraino il primo e nigeriana la seconda, che hanno appreso con grande facilità la loro terza lingua.

«Devo riconoscere che la materia ha destato qualche perplessità tra alcune famiglie, che ora, dopo anni di risultati positivi, si sono ricredute – ammette Fabrizio Dettori –. L’ufficialità nel programma, con due ore di lezione alla settimana, è stata decisiva di fronte alle resistenze». Resistenze perché? «In famiglia si continua prevalentemente a parlare in italiano, disperdendo così un valore e un’identità di cui invece dobbiamo riappropriarci. E poi i dialetti e le lingue minoritarie in genere non vengono considerate utili alla comunicazione. E c’è anche un certo, chiamamolo così, snobismo nei loro confronti». Non a caso in “ Fabedda” c’è una rubrica “Fatzu”–”Veru”che mira a sfatare alcuni luoghi comuni. Come che lu sassaresu sia «un diarettu tzerragu». E invece «no isisthini linghi tzerraghi o inferiori, ma li passoni ki la fabeddani».

Di questa esperienza quello che fa più gioire l’insegnante è che «tra genitori e figli si è ricominciato a parlare il nostro vernacolo. Grazie proprio ai bambini. Che ora con il giornale hanno una gratificazione in più al loro lavoro». E non è un risultato da poco.

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