La Nuova Sardegna

Sassari

Anche da presidente Cossiga non tradì la fainè

di Pasquale Porcu
Anche da presidente Cossiga non tradì la fainè

In via Usai il forno storico dello “snack” irrinunciabile che si mangia con le mani I ricordi del titolare Mario Marongiu . Tra i clienti illustri anche Enrico Berlinguer

03 ottobre 2016
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SASSARI. Molti sassaresi la chiamano “Affainè”ed è uno snack irrinunciabile soprattutto nei mesi più freddi dell’anno. I gusti più diffusi sono alle cipolle, con salsicce, salsicce e cipolle e ai funghi. Ma i più tradizionalisti la mangiano senza altri ingredienti: semplice, croccante e tanto calda da bruciarti le mani. Eh già, perché la fainè si mangia con le mani aiutandosi con dei piccoli tovaglioli di carta grezza color nocciola. Dopo una abbondante spolverata di pepe nero e accompagnandola con la birra (molti) o vino rosso (pochi).

Anche se di forni di fainè ne esistono in diversi punti della città, il tempio resta sempre via Usai. È in quella viuzza che vanno i sassaresi da generazioni. Ora il forno è aperto solo la sera, ma fino a qualche decennio fa, la fainè si sfornava anche di mattina. Ed è in quel forno che si rifugiavano molti studenti che “facevano ferie” a scuola. Non mancava di ricordare questo aneddoto Francesco Cossiga che almeno una vota all’anno andava a mangiare la sua fainè. Anche quando era presidente della Repubblica. «Faceva telefonare per prenotare – ricorda oggi Mario Marongiu, titolare del forno che ha ereditato dai genitori – Una volta è arrivato da Roma con decine di persone. Erano talmente tanti che ho dovuto sistemarli anche nel locale di fronte al forno, in pizzeria. Finita la cena il presidente Cossiga mi ha preso sottobraccio e mi ha detto in modo severo: “Mario, non mi fare più quello che mi hai fatto oggi”. Io mi sono preoccupato e ho chiesto: “Perchè, che cosa ho fatto di tanto grave?”. E lui: “Io la fainè l’ho sempre mangiata dentro il forno e vorrei continuarla a mangiare sempre nello stesso modo”».

In modo più discreto e con gruppi meno numerosi, andava in via Usai a mangiare fainè anche Enrico Berlinguer, «anche se – racconta Mario Marongiu – soprattutto quando era segretario del Pci, la sua presenza a Sassari diventava sempre più rara».

Molti sassaresi sono convinti che la fainè sia nata a Sassari. In verità questo prelibato snack è stato introdotto in città da alcuni commercianti genovesi tra la metà e la fine dell’Ottocento. «Venivano a Sassari per tre o quattro mesi all’anno – racconta Marongiu – da novembre a febbraio e poi ritornavano a Genova. Abitavano in questo palazzo dove c’è ancora il forno. Ricordo, anche attraverso i racconti dei miei genitori, che nel forno lavoravano, che è stata soprattutto la famiglia Ottonello la più assidua tra i genovesi a operare nel forno che poi è stato rilevato dai miei genitori. Ecco perché ancora oggi nell’insegna si ricorda la “fainè alla genovese”».

La fainè, in realtà, non è nata neanche a Genova. La sua nascita è casuale e risale all’agosto del 1248 quando la flotta della Repubblica marinara pisana che navigava intorno allo scoglio della Meloria, di fronte al Porto Pisano, venne intercettata e distrutta dalla flotta genovese. Fu una battaglia cruenta e tragica, che segnò la fine della Repubblica marinara pisana. Delle circa cento galee pisane ne furono distrutte 33. I morti furono 5mila e i prigionieri pisani circa 9mila. I pisani vennero tenuti sugli scogli per giorni, al sole e senza mangiare (anche perché rifiutavano la brodaglia che offrivano loro i genovesi). La farina di ceci che trasportavano le navi pisane insieme ai barili di olio, finì in gran parte sugli scogli tanto da formare una poltiglia che cotta da sole e condita col sale del mare non dispiacque ai prigionieri pisani. Anche i genovesi furono curiosi e l’assaggiarono. E tornati a casa la riproposero, ma cotta in forno.

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