La Nuova Sardegna

Sassari

Ciarlatani e cure alternative, è tutta questione di cultura - IL COMMENTO

Eugenia Tognotti
Gabriella Mereu
Gabriella Mereu

Il caso della dottoressa Mereu, che dice di curare i tumori con le parolacce, deve far riflettere sul perché tanti malati si rivolgono a venditori di illusioni

30 ottobre 2016
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Dacci oggi il nostro ciarlatano quotidiano. All'ultimo, all'ultima, anzi, in ordine di tempo, la Sardegna ha dato i natali e l'Università di Sassari la laurea in Medicina e Chirurgia nel non lontanissimo 1983. Nell'esercito, in continua crescita, degli spacciatori di illusioni e di false speranze di guarigione, quello di Gabriella Mereu, che vanta anche il titolo di omeopata, è un caso da manuale. La storia della Medicina - si sa - straripa di falsi medici, praticoli, curanti girovaghi, frati-guaritori di varie nazionalità. In epoca pre-scientifica trovavano terreno fertile nell'impotenza terapeutica della Medicina ortodossa che spingeva gli ammalati ad affidare la speranza di guarigione a rimedi e medicamenti di varia composizione spacciati come miracolosi: unguenti dalle proprietà prodigiose, antidoti, elisir di lunga vita, scatolette contenenti polveri segrete, sacchetti con reliquie di santi.

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Nella nostra epoca iperscientifica e tecnologica la fortuna dei praticanti delle medicine non convenzionali è invece legata al fallimento delle cure e dei trattamenti convenzionali per alcune malattie; la sfiducia nella Medicina ufficiale; la crescente popolarità di un approccio più "naturale" o olistico alla malattia, che sta guadagnando l'adesione della fascia più abbiente e istruita della popolazione. C'è un filo rosso che lega tutti dispensatori di cure alternative: talora sono personaggi non estranei alla medicina, spesso medici per i quali l'efficacia dei trattamenti che propongono sono argomenti di fede, anche se privi di una validazione scientifica che ne attesti l'efficacia terapeutica; non presentano mai le loro ricerche su riviste peer-reviewed (in cui gli articoli sono selezionati da 'pari', da specialisti del settore); fanno passare le critiche, argomentate, della comunità scientifica come una prova di ostilità e d'incomprensione, accusando i baroni universitari di avere paura della loro scoperta e di ostacolarla per i loro bassi interessi (brevetti, legami con case farmaceutiche).

La figura della dottoressa Mereu, radiata dall'Ordine dei Medici, rientra in questo quadro. A quanto riferiscono i giornali - che la definiscono 'santona' - 'cura i tumori con le parolacce' e, a quanto pare, ammicca alla medicina magico-religiosa, se è vero che consiglia alle sue pazienti di curare la cistite inserendo nella vagina una medaglietta della Madonna per poi andare a messa. Il suo j'accuse nei confronti della medicina ufficiale - come si può leggere nel suo sito - è senza appello. Le cure dei 'colleghi medici' che l'hanno radiata dall'Albo sono giudicate 'avvelenanti e mutilanti spesso senza ragione'; i pazienti si ammalano anche 'a causa del terrore provocato dalle diagnosi'. Ma, soprattutto, 'il criterio meccanicistico' tradizionale ignora la causa del malessere che deve 'essere vista in maniera olistica ed a 360° e ricercata prima di tutto nel problema emozionale che crea un terreno malato'.

Basandosi su queste teorie, la ex dottoressa ha ideato la 'Terapia Verbale', che da anni, sostiene, 'sta aiutando tante persone a raggiungere una maggiore consapevolezza della Malattia e del suo significato'. Le sue conferenze in giro per l'Italia sono affollatissime. Ed ecco il nodo. Non è tanto di questa o quella cura alternativa o di questo o quel venditore di illusioni che si dovrebbe discutere, quanto, in generale, delle aspettative, delle motivazioni, delle speranze che inducono tanti malati a seguire le teorie più bizzarre e strampalate, voltando le spalle, talora, alle certezze della medicina ortodossa. E che dire del deficit di scienza e di cultura scientifica, del modo in cui s'insegnano nelle nostre scuole? In Italia, si dice "cultura" e si pensa a musei, opere liriche, biblioteche, antichi documenti, su cui le istituzioni spendono tutto il poco che c'è da spendere. Ma la cultura è questo, certo. Ma è anche altro, molto altro: è la ricchezza e la complessità del sapere, l'insieme degli strumenti concettuali di cui una comunità deve disporre per fare le scelte, per valutare, per pensare a sé stessa e al mondo che la circonda.

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