La Nuova Sardegna

Sassari

È l'Unesco l'ultima vittima del populismo di Donald Trump

Alfredo de Girolamo
Donald Trump
Donald Trump

L'OPINIONE - Gli Usa annunciano il ritiro dall'organizzazione Onu. E smantellano il sistema globale multilaterale

15 ottobre 2017
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Trump lascia l’Unesco, il divorzio definitivo il prossimo dicembre. La Casa Bianca ha annunciato formalmente la volontà di ritirarsi dall’organizzazione delle Nazioni Unite per la salvaguardia del patrimonio ambientale e culturale a causa dei ripetuti contrasti con Israele, per le recenti risoluzioni sulla Palestina occupata. Tuttavia, Washington ha fatto sapere che manterrà il ruolo di osservatore: «per contribuire con opinioni, prospettive e competenze». È la tipica mossa trumpiana: esco ma tengo un piede dentro. Intanto, chiudo il rubinetto, smetto di finanziare l’Agenzia delle Nazioni Unite.

C'è da dire che i rapporti tra i presidenti americani e l'ufficio della galassia Onu non sono mai stati idilliaci. Con la medesima motivazione adottata, in queste ore, da Trump già Obama, nel 2011, aveva sospeso i finanziamenti: ravvisando un pregiudizio anti-israeliano a seguito dell’inclusione della Palestina come Stato membro del comitato Unesco. Prima di Obama era stata la volta di Ronald Reagan, l'ex attore nel 1984 ritirò la delegazione statunitense per protestare contro un approccio che veniva bollato come filosovietico. Ci vollero 17 anni perché gli Usa ritornassero sui loro passi. Fu sotto Bush junior che la rottura venne risolta e i dissapori appianati: «È un simbolo del nostro impegno per la dignità umana, l'organizzazione è stata riformata e l'America parteciperà appieno alla sua missione di portare avanti la tutela dei diritti umani, la tolleranza e l'apprendimento».

Quando l'allora presidente conservatore pronunciò queste parole durante l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, nel 2002, nell'emiciclo si alzò un lungo applauso. Pace fatta, così almeno sembrava. Da allora in poi gli Usa sono stati il maggior finanziatore dell'Unesco, coprendo circa un quarto dell'intero budget. Nelle casse dell'organizzazione negli anni a seguire verranno versati oltre 500 milioni di dollari. Poi lo stop di Obama di fronte alla storica svolta della Conferenza generale dell'Unesco che con 107 voti a favore, 14 contrari e 52 astenuti accoglieva la Palestina come membro a pieno titolo dell'organismo Onu per Scienza, Educazione e Cultura. Il governo di Gerusalemme criticò aspramente l'evento: «Una manovra palestinese unilaterale che non cambierà nulla sul terreno ma allontanerà ancora di più la possibilità di un accordo di pace».

Un successo diplomatico per i palestinesi, che entrarono ufficialmente a far parte di un'Agenzia delle Nazioni Unite. Una decisione che andava a toccare la legislazione americana, che vieta esplicitamente il finanziamento di qualsiasi organizzazione internazionali che riconosca la Palestina a pieno titolo. L'adesione storica dello stato palestinese ad un organo sovranazionale produsse un subbuglio diplomatico. Si divise l'Europa: con la Francia favorevole all'ingresso insieme a Spagna, Grecia, Austria, Belgio e Lussemburgo. La Germania contraria e l'Italia astenuta. Il taglio conseguente delle risorse ingiunto dall'amministrazione obamiana ha causato non pochi problemi all'Agenzia e ai suoi programmi: dal taglio del personale alla chiusura di progetti sparsi in mezzo mondo. Una crisi finanziaria che ha visto la direttrice generale Irina Bokova impegnata in una perenne campagna di raccolta fondi. Con alcuni Stati del Golfo diventati principali donatori e “salvatori” dell'Unesco.

Il mandato della bulgara Bokova è terminato. A Parigi si è svolta proprio ieri la votazione finale con il confronto tra la Francia e il Qatar vinto dalla franco-marocchina Audrey Azoulay sul diplomatico Hamad bin Abdulaziz al-Kawari, ambasciatore di lungo corso, orchestratore della nomina nel 2010 di Doha a capitale della cultura araba. Infine, dietro alla virata americana non ci sarebbe soltanto la questione del conflitto israelo-palestinese. Trump vede nell’Unesco un pozzo senza fondo di sprechi di denaro statunitense. E quello che l'attuale presidente predica da tempo è lo smantellamento del sistema globale multilaterale per avvantaggiare il ritorno al bilateralismo, a lui tanto caro. Il populismo trumpiano ha preso una piega marcatamente estremista in politica estera, al grido di: «Fuori!». In pochi mesi a colpi di tweet Trump ha portato gli Usa al ritiro, o alla minaccia, da molti trattati internazionali: dall’accordo di Parigi Cop21 al Nafta con Messico e Canada, dal Tpp a quello sul nucleare iraniano.

Il motto dell'Unesco è: «Dal momento che le guerre cominciano nelle menti degli uomini, è dalle menti degli uomini che devono essere costruite le difese della pace». 139 caratteri, un breve cinguettio che non piace a Trump.

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