La Nuova Sardegna

Sassari

«Ci sono segnali da cogliere mai abbassare la guardia»

«Ci sono segnali da cogliere mai abbassare la guardia»

Intervista al prefetto Giuseppe Marani a Sassari dal 17 febbraio del 2017 «Questa non è una città razzista, riscopriamo il senso della comunità»

20 settembre 2018
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SASSARI. «Ci sono segnali che vanno colti e servono per ricordare a tutti che occorre tenere la guardia alta. E da lì occorre ripartire per diffondere una sensazione di sicurezza più forte». Il prefetto di Sassari Giuseppe Marani, dal 17 febbraio negli uffici di piazza d’Italia da dove ha un osservatorio privilegiato sulla città e sul territorio, racconta la sua Sassari.

Partiamo dal razzismo, l’ultimo campanello d’allarme?

«Io attenderei le conclusioni delle indagini, perché altrimenti si pensa davvero che a Sassari si vive chissà come. Questa non è una città razzista. Io appena arrivato dissi che consideravo un onore lavorare nella città dei Berlinguer, Segni e Cossiga, ed è così. L’università ha visto passare negli anni, e tutt’ora, monumenti del diritto italiano. Sassari ha una capacità di proiezione culturale che non può essere inficiata dal gesto di una, due o tre persone. Il che non significa che l’episodio non vada condannato e punito. Anzi, aggiungo: è uno degli elementi che ci impone di prestare maggiore attenzione e di rafforzare i dispositivi. Però che non si dica che Sassari è razzista. A mio avviso è quasi una bestemmia».

A volte basta un’auto bruciata per fare salire la paura?

«Il tema della sicurezza percepita va affrontato con sensibilità e attenzione. A volte scopriamo che le fiamme sono partite da un corto circuito di un’auto vecchia. Non sempre sono attentati. Ma il cittadino che si vede la propria macchina non presa di mira ma che si incendia di riflesso dice: che succede? A noi spetta il compito di dare la dimensione di ciò che accade».

Gli ultimi episodi di criminalità indicano che ci sono zone critiche da recuperare...

«É vero, serve maggiore attenzione. A breve convocherò un Comitato provinciale sulla sicurezza per ragionare insieme, per elaborare strategie con gli amministratori locali. Intanto stiamo valutando con le forze di polizia le questioni specifiche. Abbiamo cominciato con la situazione nelle scuole e a breve faremo le verifiche: sono partiti i controlli, quali sono i risultati? A fine ottobre un nuovo incontro».

Droga e bullismo, due fenomeni preoccupanti nel panorama giovanile?

«Si, diciamo che il tema della legalità in genere va affrontato coinvolgendo maggiormente i giovani e tutte le componenti. Perché la scuola non è solo il ragazzo ma è il professore, la famiglia, il personale. Un corpo complesso con esigenze diverse. La cosa più importante è fare parlare gli studenti e capire da loro che cosa vogliono, cosa si prefigurano. Perché altrimenti siamo sempre noi adulti a dare imposizioni dall’alto, mentre spesso gli studenti sono in grado di stupirci. Da un paio d’anni c’è un rafforzamento del dialogo tra le forze di polizia e la scuola».

Il dramma sociale della disoccupazione è il macigno che pesa su migliaia di famiglie e genera disagio...

«Vedo grande impegno e anche tante difficoltà, ma ci sono margini per ripartire. Io faccio la mia parte, il prefetto può intervenire per lottare contro il caporalato, per contrastare infiltrazioni mafiose, si possono fare protocolli sulla legalità per gli appalti . Però l’iniziativa occupazionale spetta ad altri».

Il caporalato mette radici anche qui?

«Secondo me il rischio ci può essere, ma non va enfatizzato. Però è sempre meglio prevenire. E quindi d’intesa con l’Ispettorato del Lavoro che sta già assumendo iniziative stiamo cercando di capire che cosa fare per agire tempestivamente. Non mi sento di escludere che qualcosa ci possa essere, ma l’azione di contrasto è stata efficace. Vorrei rafforzare la prevenzione».

Sui migranti. Il sistema di accoglienza e integrazione funziona?

«In questo momento la situazione è statica, da un po’ di tempo non abbiamo arrivi. Io quando mi sono insediato ho detto che era mia intenzione fare tutti gli sforzi possibili per verificare che le risorse che vengono erogate venissero impegnate correttamente. Garantendo condizioni igieniche e sanitarie adeguate. Più volte siamo intervenuti per ricondurre la situazione dei centri al rispetto delle norme. Ovviamente rispetto delle regole significa anche che il migrante che viene inquisito per qualche reato viene allontanato e perde il diritto all’accoglienza».

E il funerale con saluto fascista?

«É stata informata la magistratura e attendiamo l’esito delle indagini. Aspettiamo, Sassari ha anticorpi per certe situazioni. Non voglio dare una definizione di quello che ho visto perché c’è una indagine in corso e non spetta a me aggiungere altro. Però le forze dell’ordine stanno continuando a lavorare. L’idea che mi sono fatto è che è stata una manifestazione che credo volesse essere di lutto, discutibile. Ma Sassari non è un luogo al quale appiccicare etichette. Mai abbassare la guardia, certo, ma anche mai essere troppo allarmisti. Perché a forza di gridare al lupo, quando c’è veramente finisce che nessuno se ne accorge».

Il suo impegno primario?

«La cosa che mi preoccupa di più ogni giorno è cercare di garantire la sicurezza ai cittadini. É l’impegno più difficile e complesso. Perché se un cittadino non si sente sicuro a casa sua, vuol dire che io ho fallito».

Un messaggio a Sassari?

«Alla gente: chiamateci se avete bisogno. Metteteci nelle condizioni di intervenire. Occorre riscoprire il senso della comunità. Il messaggio dell’Assemblea diocesana in questi giorni è “Lasciarsi provocare da quello della porta accanto”. Se io vedo un fatto che sta accadendo e chiamo chi può intervenire forse contribuisco alla soluzione di un problema. É vero che c’è la videosorveglianza, ma io penso sempre a un tessuto sociale che si aiuta reciprocamente. Se io vedo che accade un fatto oltre che filmarlo posso chiamare le forze dell’ordine. Così rendo un servizio alla città oltre che a me stesso. Si chiama senso civico, senza bisogno di fare gli eroi. Semplicemente cittadini, parte di una comunità». (g.b.)

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