Sollecitata la chiusura dell’oasi di Sa Costa
di Barbara Mastino
Ozieri, l’area protetta era nata per tutelare lepri e pernici ora sparite Gli agricoltori denunciano i danni causati dai cinghiali che popolano la zona
25 ottobre 2019
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OZIERI. Danni ingenti nelle aziende agricole e anche qualche incidente stradale sono una regola a Ozieri, in località Sa Costa, causati dai cinghiali che popolano l’oasi faunistica protetta ma che la notte escono per le loro scorribande sulla strada e nelle campagne circostanti. In periodi siccitosi come questo, per i suini che vivono nell’oasi secca e brulla le campagne vicine, irrigate e seminate per gli erbai e i cereali, sono un paradiso. Ecco quindi il motivo delle scorribande, con i cinghiali che scavano profonde buche per scovare semi e germogli sotto la terra e che, prima di farlo, si portano letteralmente via recinzioni e muretti a secco. Se poi capitano sulla strada sono guai anche per gli automobilisti, e gli incidenti si susseguono.
L’oasi faunistica, situata al confine con Chiaramonti, esiste dal 1988, nata per tutelare pernici, lepri e il cinghiale sardo - quello più piccolo, non i grossi esemplari che la popolano oggi, frutto degli incroci con i maremmani. Da almeno venti anni i cinghiali spadroneggiano nella zona, creando disagi adesso divenuti insostenibile. «I danni sono ingenti – dice Antonio Monzitta, dell’azienda Monzitta e Fiori che confina direttamente con l’oasi –, basti pensare che seminare appena un ettaro di pascolo costa 300 euro: cifra che si raddoppia, almeno, perché bisogna seminarne altro dopo che sono passate le scorrerie dei cinghiali; e altrove, perché lì non cresce più nulla. Se poi si pensa a creare un allevamento semibrado di maiali sono guai, perché con la peste suina in giro occorre spendere il doppio del normale per le recinzioni, per motivi sanitari. Se aggiungiamo le reti distrutte e i muretti a secco divelti (muretti che sono patrimonio dell’Unesco, oltretutto), nonché altri eventuali danni, il bilancio diventa pesantissimo». Cosa fare quindi? L’idea è la stessa da anni: avviare gli abbattimenti controllati, o abolire l’oasi, che ormai ha perso la sua funzione.
Una proposta nel 2013 venne fatta anche dal Comune di Ozieri a seguito di alcune riunioni con le associazioni venatorie, convocate nel periodo in cui si stava mettendo mano al Piano faunistico venatorio provinciale che poi sarebbe andato a confluire in quello regionale. Nella relazione inviata dall’allora assessore all’Ambiente Carmelo Lostia all’omologo provinciale Luigi De Negri si proponeva l’abolizione dell’oasi (della quale in quel periodo si ventilava addirittura un ampliamento dagli attuali 460.07 ettari a ben 5216.60) proprio perché le specie per la cui tutela era nata erano pressoché scomparse dalla zona e perché, come si legge nel documento, l’area risultava «popolata quasi esclusivamente da cinghiali che provocano danni alle colture agricole nonché alla specie in salvaguardia ed alla biodiversità in genere». Aprire la caccia, in poche parole, creando una nuova oasi protetta in un’area individuata tra Mesu ‘e Rios e Fraigas - 2200 ettari abitati da galline prataiole, lepri e conigli, gru e cicogne, e anche, in inverno, pavoncelle e i pivieri - ma anche, con il pieno appoggio delle associazioni venatorie, formare i cacciatori «per le funzioni di coadiutori e sele-controllori per interventi di contenimento». Una proposta che sarebbe interessante riformulare nell’ambito di una riorganizzazione del Piano Faunistico.
L’oasi faunistica, situata al confine con Chiaramonti, esiste dal 1988, nata per tutelare pernici, lepri e il cinghiale sardo - quello più piccolo, non i grossi esemplari che la popolano oggi, frutto degli incroci con i maremmani. Da almeno venti anni i cinghiali spadroneggiano nella zona, creando disagi adesso divenuti insostenibile. «I danni sono ingenti – dice Antonio Monzitta, dell’azienda Monzitta e Fiori che confina direttamente con l’oasi –, basti pensare che seminare appena un ettaro di pascolo costa 300 euro: cifra che si raddoppia, almeno, perché bisogna seminarne altro dopo che sono passate le scorrerie dei cinghiali; e altrove, perché lì non cresce più nulla. Se poi si pensa a creare un allevamento semibrado di maiali sono guai, perché con la peste suina in giro occorre spendere il doppio del normale per le recinzioni, per motivi sanitari. Se aggiungiamo le reti distrutte e i muretti a secco divelti (muretti che sono patrimonio dell’Unesco, oltretutto), nonché altri eventuali danni, il bilancio diventa pesantissimo». Cosa fare quindi? L’idea è la stessa da anni: avviare gli abbattimenti controllati, o abolire l’oasi, che ormai ha perso la sua funzione.
Una proposta nel 2013 venne fatta anche dal Comune di Ozieri a seguito di alcune riunioni con le associazioni venatorie, convocate nel periodo in cui si stava mettendo mano al Piano faunistico venatorio provinciale che poi sarebbe andato a confluire in quello regionale. Nella relazione inviata dall’allora assessore all’Ambiente Carmelo Lostia all’omologo provinciale Luigi De Negri si proponeva l’abolizione dell’oasi (della quale in quel periodo si ventilava addirittura un ampliamento dagli attuali 460.07 ettari a ben 5216.60) proprio perché le specie per la cui tutela era nata erano pressoché scomparse dalla zona e perché, come si legge nel documento, l’area risultava «popolata quasi esclusivamente da cinghiali che provocano danni alle colture agricole nonché alla specie in salvaguardia ed alla biodiversità in genere». Aprire la caccia, in poche parole, creando una nuova oasi protetta in un’area individuata tra Mesu ‘e Rios e Fraigas - 2200 ettari abitati da galline prataiole, lepri e conigli, gru e cicogne, e anche, in inverno, pavoncelle e i pivieri - ma anche, con il pieno appoggio delle associazioni venatorie, formare i cacciatori «per le funzioni di coadiutori e sele-controllori per interventi di contenimento». Una proposta che sarebbe interessante riformulare nell’ambito di una riorganizzazione del Piano Faunistico.