La Nuova Sardegna

Sassari

Sassari, alla fermata del bus accoglienza e civiltà sono al capolinea

di Luigi Soriga
Sassari, alla fermata del bus accoglienza e civiltà sono al capolinea

Una strada buia, con poche pensiline anti freddo e pioggia. Totale assenza di servizi, neanche panchine per sedersi

21 novembre 2019
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SASASRI. C’è un capolinea anche per la civiltà. All’imbrunire in via Padre Zirano comincia la selezione darwiniana del pendolare: solo chi è più giovane e corazzato sopravvive. E infatti, alle 17 la temperatura esterna precipita di colpo, e assieme a lei l’età anagrafica dei viaggiatori. C’è un’umidità che scivola dentro i piumini e si infila nelle ossa. Se hai più di trent’anni l’indomani ti alzi dal letto con altri cinquanta in omaggio. I ragazzini a frotte aspettano il proprio bus. Avranno dai 16 ai 20 anni, migrano dalle scuole all’hinterland, sono foderati di incoscienza e buona salute, non sanno che via Padre Zirano può essere una cambiale di acciacchi a lungo termine. Quelli diretti verso Alghero e Porto Torres sono i più fortunati. Per loro c’è la sistemazione suite, con addirittura una pensilina che ripara la testa dal vuoto siderale. Funzionano anche i lampioni. Chi invece fa rotta verso Uri, Usini, Tissi ecc, si deve accontentare del pacchetto base che l’approdo dell’Arst può offrire: un muretto sul quale sedersi. Poi per i bisogni c’è la toilette agreste dei giardinetti. Si trova riparo dietro i cespugli, là dove gli anabbaglianti delle auto non fanno da occhio di bue sulle faccende intime. Quando le vetture non transitano, nella via c’è un buio pesto che fa paura. Sono accesi solo i lampioni accanto alle pensiline, ma le altre fermate disseminate nella via sono a mollo nell’oscurità totale. La situazione è molto pericolosa: i passanti si offrono come birilli scuri per le auto. Non c’è segnaletica, non ci sono avvisi alla prudenza. Sul ciglio della via si intravvedono solo i volti di tanti ragazzini, il capo chino e illuminato dal display dello smartphone. Alla politica interessa poco di questi profughi dell’hinterland: timbrano il ticket nel bus, ma non obliterano alcun voto utile alle urne sassaresi. Non fanno massa critica, il loro disagio si perde da anni nell’indifferenza. Il cielo, dopo la rugiada, comincia a piagnucolare anche qualche goccia di pioggia. Lontano dalle pensiline, davanti ai giardini, sbocciano ombrelli a mazzi. L’incuria da queste parti ha messo tali radici da far parte dell’arredo urbano. «Disagio? Boh non saprei – dice Mattia, 19 anni, destinazione Tissi – sì, fa un po’ di freddo, ma si sopporta. Ci si fa il callo». Invece non bisognerebbe mai abituarsi al degrado e alla colpevole provvisorietà delle cose. La stazione per i bus, e non questo ground zero della civiltà, sarebbe dovuta sorgere già nel 2017: e assieme a lei quel pacchetto di confort che costituisce la dotazione base per il pendolare. Ovvero un tetto dove ripararsi, una panchina integra dove sedersi, un bagno dove fare i bisogni, una biglietteria al coperto, un punto informazioni e magari un bar dove bere una bevanda che ti scalda l’attesa. Insomma, una piccola oasi di accoglienza transitoria, aspettando quell’opera titanica e forse mitologica chiamata centro intermodale.

Le nuove generazioni di pendolari però sono molto resilienti, e si adattano alle difficoltà in maniera creativa. Un gruppetto chiacchiera fitto e scalda il cuore con la birra. A giudicare dalle aiuole e dai mucchietti di bottiglie e lattine, dev’essere un sistema di sopravvivenza ben collaudato. Altri ragazzi, invece, sono indaffarati con carta e tabacco. Spandono lungo le fermate stupefacenti fragranze, dall’aroma inconfondibile. Aspettano l’autobus, augurandosi, per una volta, che sia un tantino in ritardo.

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