La Nuova Sardegna

Sassari

Stop diffidenza, verso i cinesi c’è fiducia

di Luigi Soriga
Stop diffidenza, verso i cinesi c’è fiducia

Feng (Muraiya): «I clienti entrano con tranquillità, ma le perdite sono del 30% e tanto invenduto. È dura per i ristoranti»

27 maggio 2020
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wSASSARI. I primi a inaugurare il lockdown sono stati i cinesi. Non appena il Coronavirus ha bussato alla porta dell’Italia, hanno chiuso le serrande di tutte le attività e hanno sigillato a doppia mandata anche le loro esistenze. Letteralmente spariti dalla circolazione. «Se in tutta la Sardegna non si è registrato un solo contagio nella nostra comunità – spiega Yang Wen Feng, vicepresidente della comunità cinese in Sardegna – un motivo c’è. Ed è pure molto semplice: abbiamo applicato qui le stesse regole della Cina. Stai chiuso in casa per due mesi, ma chiuso per davvero. Della serie: noi in famiglia siamo in sette, ma a fare la spesa ci andava uno solo, e una sola volta ogni dieci giorni. Fai le scorte e riduci il rischio contagio. Se in Italia la situazione è sfuggita di mano, con una diffusione maggiore della Cina, è solo perché non si è presa una decisione rapida per tutti. Noi avevamo intuito immediatamente la pericolosità del coronavirus, avevamo sentito cosa stava succedendo in Cina. E dunque ci siamo messi tutti in quarantena».

I grossi store avrebbero anche potuto continuare ad aprire, perché la vendita di detersivi e di altri prodotti necessari era consentita. «Avevamo paura – spiega Yang – abbiamo preferito tutelare noi e i nostri clienti. In più quando gestisci una struttura di centinaia di metri quadrati, è antieconomico aprire solo alcuni comparti. Non ti ripaghi tutti i costi». Nella prima fase c’era anche molta diffidenza nei confronti dei cinesi, erano visti come potenziali untori. «Adesso non è più così, la gente si è accorta che è un fenomeno globale. I clienti vengono nel negozio in assoluta tranquillità, e si rendono conto che siamo molto attenti nelle norme di igiene e distanziamento. Questo tranquillizza tutti. Inoltre abbiamo provato, nel nostro piccolo, a dare una mano durante l’emergenza. Abbiamo donato all’Aou le mascherine e un macchinario per velocizzare le diagnosi Covid. In più abbiamo deciso di non lucrare assolutamente sulla pandemia, commercializzando i guanti a prezzo di costo. Queste scelte sono state apprezzate». La ripartenza però è ancora tutta in salita: «La mia attività, ovvero Muraiya – dice Yang – ha aperto da una settimana. I primi giorni non si vedeva un’anima. Ora per fortuna le cose vanno decisamente meglio. Ma le vendite sono in calo dal 20 al 30 per cento. In più si è passati dalla primavera direttamente all’estate, saltando la vendita di tutti quei capi di abbigliamento leggeri ma a manica lunga. Questo è un grosso problema, perché quella merce resterà invenduta per un altro anno, e tutti noi abbiamo anticipato soldi».

Tutte le attività hanno comunque retto bene il colpo, e si sono fatte trovare aperte per la fase due. Per qualcuna, naturalmente, la ripartenza è stata molto più complicata. «I ristoranti, e soprattutto gli all you can eat, hanno potuto lavorare solo con l’asporto, e ora si ritrovano senza la possibilità del self service e con i coperti dimezzati. Per loro, abituati ad avere cento clienti alla volta, sarà un’impresa rientrare nei costi».

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