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Sassari, le cure sono troppo costose: bimbo rischia la vita

di Nadia Cossu
Sassari, le cure sono troppo costose: bimbo rischia la vita

Il giudice prima accoglie e poi rigetta l’istanza dei genitori: «Non abbiamo più soldi per i viaggi a Roma»

30 novembre 2020
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SASSARI. La battaglia per la vita di un figlio malato non conosce ostacoli. Ma quando la lotta non è ad armi pari ci si può anche ritrovare costretti alla resa. Perché i rimborsi per cure e viaggi oltremare sono irrisori e i soldi a un certo punto finiscono.

Per questo i genitori di un bambino sassarese di nove anni affetto da una grave malattia e costretto a trascorrere lunghissimi periodi al “Bambino Gesù” di Roma hanno presentato un ricorso d’urgenza al tribunale di Sassari (sezione Lavoro). Il giudice ha accolto in parte le loro istanze e ha condannato l’Ats a rimborsare circa il 50 per cento di quanto richiesto (una somma comunque di gran lunga superiore rispetto a quella riconosciuta inizialmente dall’Azienda per la tutela della salute). Ma la stessa Ats ha presentato un reclamo contro quel provvedimento e il tribunale, stavolta in composizione collegiale, ha revocato la decisione del primo giudice senza disporre – così come avevano invece chiesto i genitori del bambino – una consulenza tecnica che fornisse un quadro esaustivo della grave situazione clinica.

«Appare ovvio – spiega oggi l’avvocato Pierluigi Olivieri che ha seguito tutto il percorso giudiziario – che allo stato il piccolo dovrà tornare in Sardegna e non potrà più ricevere le cure. Altrettanto ovvio è che il suo bisogno, purtroppo, non durerà ancora per molto e così l’Ats si sarà liberata integralmente del “problema”».

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La storia. È una storia drammatica quella che vede protagonisti due genitori e il loro bambino che combatte la sua guerra fin dalle prime ore di vita. Il piccolo è nato a gennaio del 2011 allle Cliniche San Pietro con un parto cesareo disposto d’urgenza perché l’ultima ecografia prenatale aveva evidenziato una grave ventricolomegalia cerebrale con un conseguente serio pericolo di vita per lui e per la mamma.

È in quel preciso momento che comincia l’odissea: il trasferimento immediato con un aereo militare all’ospedale pediatrico “Bambino Gesù” di Roma e l’avvio di un difficilissimo percorso fatto di terapie e interventi chirurgici per strappare il bimbo alla morte. Sei mesi dopo la nascita è stato dimesso dalla terapia intensiva neonatale con una diagnosi di neurofibromatosi di tipo 1.

I ricoveri. Appena tre mesi dopo nuovo trasferimento urgente a Firenze perché si erano creati dei granulomi all’interno dello stoma tracheale e solo all’ospedale pediatrico Meyer poteva essere effettuato un intervento chirurgico in sicurezza. Passano altri due mesi e stavolta il ricovero è al Gaslini di Genova per delle crisi convulsive e un arresto cardiaco. In quell’occasione fu proprio il padre, con il massaggio cardiaco, a salvare la vita al proprio figlio. I medici riscontrano un quadro di grave ipertensione arteriosa ed epilessia: impossibile operare il piccolo. Il passo successivo e obbligato è la terapia con interferone al “Bambino Gesù” che, come anche stabilito dal medico legale Fabrizio Ciprani, deve essere monitorata con accertamenti clinici, strumentali ed ematochimici.

Le trasferte per la vita. Viaggi e permanenze a Roma sono obbligatori perché in Sardegna non esistono ospedali di terzo livello per la somministrazione e il monitoraggio di quel tipo di terapia. Considerata la mole di spese i genitori hanno chiesto di usufruire dei rimborsi previsti dalla legge regionale 26/1991. La mamma ha dovuto lasciare il lavoro, il padre (poliziotto) è costretto a chiedere ogni due mesi – per poter continuare a percepire una retribuzione – una temporanea “aggregazione” nella capitale. Se fino a qualche tempo fa la famiglia del piccolo doveva anticipare i costi del soggiorno a Roma, oggi la situazione è peggiorata notevolmente. «In occasione del penultimo ciclo di cura – spiega il legale – a fronte dei 282 giorni di permanenza nella capitale la famiglia ha ricevuto (con grande ritardo) un rimborso pari al 7% del dovuto. Per l’ultimo ciclo, invece, non è neanche stato riconosciuto il diritto a usufruire di due accompagnatori. Come se una sola persona possa occuparsi 24 ore su 24 senza sosta e senza riposo del piccolo».

Per l’Ats «le cure nei dieci mesi di permanenza a Roma venivano prestate solo una volta alla settimana circa e quindi doveva essere concesso il rimborso solo per quel giorno». Ma la verità è che il bambino – che non cammina, non interagisce con terzi e viene nutrito attraverso una sonda – deve essere continuamente sottoposto a esami e controlli e i medici hanno sconsigliato viaggi tra un trattamento e l’altro perché rischierebbe la vita. «Non è irrilevante – conclude l’avvocato Olivieri – che per quanto è dato sapere le Ats di Oristano e Nuoro riconoscono in analoghe condizioni il rimborso nella misura richiesta dai miei assistiti».

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