La Nuova Sardegna

Sassari

Venduti beni della società fallita

Venduti beni della società fallita

Inchiesta della Guardia di finanza: due arresti e due obblighi di dimora. L’indagine partita nel 2018

24 dicembre 2020
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SASSARI. Arresti domiciliari per due persone e obbligo di dimora nel proprio comune per altre due: le misure cautelari sono state eseguite dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza del comando provinciale di Sassari. L’indagine è coordinata dalla procura della Repubblica di Sassari e gli indagati sono tutti accusati di bancarotta fraudolenta. Secondo l'accusa avrebbero smontato e rivenduto 30 motori refrigeranti del valore di oltre 100mila euro, sottratti dai semirimorchi appartenenti al fallimento di una società di autotrasporti, adoperandosi anche per occultare ogni traccia del reato. L’indagine trae origine dall’operazione «Ruote Pulite» del 2018, che aveva portato all’arresto di tre persone (una coppia di imprenditori sassaresi del settore autotrasporti e un prestanome), nei guai anche un funzionario dell’Agenzia delle entrate. L’attività investigativa della Finanza era mirata a far chiarezza sul fallimento della società e destinata a evidenziare un'evasione fiscale per rilevanti importi (i profitti erano stati calcolati in 7,7 milioni di euro).

Nel corso di quest’anno, in presenza di ingenti debiti nei confronti dell’Erario e dei creditori, l’autorità giudiziaria ha disposto il fallimento dell'impresa e il sequestro conservativo dei beni mobili e immobili e dei crediti, messi poi a disposizione del curatore fallimentare.

L’operazione della Finanza aveva preso le mosse dalle verifiche fiscali - che avevano interessato anche una società fallita e un’altra situata all’estero, in Serbia - e le Fiamme gialle avevano ipotizzato che gli imprenditori (marito e moglie) con la complicità del funzionario dell’Agenzia delle Entrate, sarebbero riusciti a porre in essere «un articolato sistema criminoso finalizzato a evadere le imposte dirette e l’Iva e a sottrarsi ai pagamenti dovuti». Una attività che sarebbe avvenuta attraverso la creazione e gestione occulta di alcune società di comodo utilizzate per l’emissione di fatture per operazioni inesistenti e in capo alle quali fare gravare ingenti debiti tributari.

Dagli accertamenti sviluppati dalla Guardia di finanza nel corso di una lunga attività di indagine sarebbe emerso un quadro abbastanza chiaro: le società di comodo intestate al prestanome-testa di legno venivano create e poi svuotate fino a diventare inutili, quindi trasferite all’estero (in paesi extracomunitari) nel tentativo di sottrarle sia ad eventuali accertamenti fiscali che alle procedure fallimentari conseguenti anche ai pesanti debiti tributari. In tale contesto - sempre secondo quanto emerso dalla prima parte dell’attività investigativa, è già in atto una seconda fase - gli imprenditori avrebbero distrutto o occultato gran parte della contabilità delle società coinvolte nel sistema criminoso «allo scopo di rendere più difficoltosa la ricostruzione del ciclo d’affari e delle reali operazioni svolte».

Per le fiamme gialle, l’attività fraudolenta avrebbe generato in capo agli imprenditori indagati i profitti da reati: una situazione possibile attraverso i risparmi d’imposta per quasi 8 milioni di euro. Poi il fallimento e la fase più attuale delle indagini con il sequestro di tutti i beni a tutela dell’integrità del patrimonio sociale nonchè delle ingenti disponibilità finanziarie a garanzia dei creditori. E gli indagati che si sarebbero resi responsabili di distrazione fraudolenta dei beni appartenenti al fallimento della società smontando e rivendendo i 30 motori refrigeranti e occultando poi le tracce. (g.b.)

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