La Nuova Sardegna

Sassari

Aveva un infarto ma attese sei ore prima della visita

di Luigi Soriga
Aveva un infarto ma attese sei ore prima della visita

Una donna di 73 anni morì e il marito fece causa ai medici Rimase nel corridoio perché il triage attribuì il codice verde

27 febbraio 2022
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SASSARI. «Potevano salvarla, bastava solo che la visitassero un po’ prima», aveva denunciato il marito. Quando hai un infarto in corso, sei ore di attesa possono rivelarsi fatali. E l’uomo aveva ragione, nonostante il direttore del Pronto Soccorso di Sassari, il dottor Mario Oppes, avesse difeso e definito corretto l’operato del suo staff. A più di quattro anni dall’evitabile morte, a 73 anni, della sassarese Vittoria Fadda, i suoi familiari, assistiti in questa lunga battaglia da Studio3A, hanno visto riconosciute in pieno dai periti del Tribunale le loro denunce. Alla fine l’Aou di Sassari ha dovuto risarcirli con una somma rilevante.

La storia. La donna, che soffriva di svariate patologie e a cui era appena stato asportato un rene con conseguente inizio della dialisi, il 13 ottobre 2017 sviene in casa. Il marito chiama il 118 e la paziente viene condotta al Pronto Soccorso, dove accede alle 19.12: l’uomo consegna tutta la documentazione medica al Triage, facendo presente che l’indomani la moglie deve sottoporsi a dialisi. Le assegnano il codice verde ma da allora resta per ore nel corridoio senza che nessun medico o infermiere la veda, nonostante il marito solleciti una visita. Finalmente, all’1 e 28 del 14 ottobre, più di sei ore dopo il suo arrivo, Vittoria Fadda viene chiamata per essere visitata ma all’1 e 45, mentre le misurano la pressione e la stanno per sottoporre all’ecocardiogramma alla luce degli elevati valori di potassio nel sangue registrati tramite l’emogasanalisi arteriosa, va in arresto cardiaco. I sanitari tentano la rianimazione cardiopolmonare, sia attraverso le classiche manovre sia con la somministrazione di farmaci per ristabilire l’attività cardiaca, ma un’ora e mezza dopo, alle 3.05, viene constatato il decesso.

La causa civile. Il marito e il figlio, sconvolti, hanno subito puntato il dito su quella lunga attesa e alcuni mesi dopo hanno deciso di fare piena luce sui fatti e le responsabilità e si sono affidati a Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata nel risarcimento danni, che ha acquisito tutta la documentazione clinica sottoponendola ai propri esperti. Il medico legale con una dettagliata relazione, ha rilevato come il decesso fosse stato effettivamente determinato dal ritardo diagnostico e terapeutico, ricordando che, anche se alla paziente fosse stato attribuito il codice verde (gravavano anche dubbi sull’effettiva assegnazione di un codice/colore di Triage), da linee guida avrebbe dovuto essere visitata o rivalutata nell’arco di 30-40 minuti, non certo 6 ore. Studio3A ha quindi chiesto i danni all’Aou ma dinanzi al fermo diniego dell’azienda sanitaria e della sua compagnia di assicurazioni, Reale Mutua, ha chiesto un’istanza di accertamento tecnico preventivo. La perizia ha confermato le osservazioni dei familiari e di Studio3A. I consulenti tecnici hanno accertato il grave e fatale ritardo con cui la paziente è stata presa in carico. “Il punto centrale della vicenda - scrivono - sta nella gestione messa in atto tra l’accesso al Pronto Soccorso, alle 19.12, e quello alle cure, all’1.28. Secondo quanto previsto dalle linee di indirizzo in tema di triage e gestione del paziente afferente al Ps, finalità del triage è distribuire cronologicamente i pazienti in base al livello di emergenze/urgenza e sorvegliarli. La sorveglianza avviene attraverso la “rivalutazione" dei pazienti, che va svolta o in base al giudizio del triagista o delle richieste del paziente o qualora sia passato il tempo massimo di attesa previsto dai codici colore (60 minuti nel caso di codice colore verde). Nel caso in esame in realtà non è stata erogata alcuna prestazione per 316 minuti, momento in cui la vittima è acceduta a visita”.

“Un’attenta rivalutazione di una paziente fragile - concludono i due Ctu - avrebbe intercettato lo stato clinico della stessa, e iniziare eventualmente una terapia farmacologica o strumentale atta a ridurre le aritmie” . Di fronte a queste inequivocabili conclusioni, l’Azienda sanitaria e la sua compagnia di assicurazione, anche per evitare una causa che difficilmente avrebbero potuto vincere, e che d’altra parte avrebbe allungato ulteriormente i tempi di attesa per i congiunti della vittima, hanno deciso di assumersi le loro responsabilità e, dopo una lunga trattativa con Studio3A, è stato raggiunto un accordo stragiudiziale e il marito e il figlio sono stati risarciti di una somma importante.

«A loro non interessava tanto il danaro, che non riporterà indietro la loro cara – spiegano gli avvocati – quanto piuttosto l’impegno di rendere in qualche modo giustizia alla signora Vittoria, sia pur solo in sede civile, e di sensibilizzare gli enti preposti affinché omissioni del genere non abbiano più a capitare. Ora ci sono riusciti».



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