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Morì sei giorni dopo la caduta dallo scivolo nel parco acquatico: riaperto il caso

di Nadia Cossu
Morì sei giorni dopo la caduta dallo scivolo nel parco acquatico: riaperto il caso

Sassari, la Cassazione ha accolto il ricorso dei legali della moglie di Fabrizio Gastaldi: sarà riesaminata la dinamica dell’incidente e le eventuali responsabilità della società che nel 2015 gestiva la struttura

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Sassari Fabrizio Gastaldi, agente di commercio sassarese di 44 anni, era morto l’11 luglio del 2015 in seguito a un incidente avvenuto nel parco acquatico di Sorso “Water Paradise”. Dopo sei giorni di agonia nel reparto di Rianimazione dell’ospedale civile di Sassari – e concluso il periodo di osservazione previsto dal protocollo – i medici avevano spento le macchine che lo tenevano in vita e i suoi familiari avevano dato il consenso per la donazione degli organi.

L’uomo era caduto dallo scivolo Toboga: al termine del percorso elicoidale era finito a testa in giù in una piscina a bassa profondità. Aveva quindi battuto sul fondo perdendo conoscenza e a nulla erano serviti i tentativi di rianimazione dei bagnini presenti nella struttura. Il procedimento penale – partito d’ufficio nei confronti della srl “Iniziative commerciali” che all’epoca gestiva la struttura – si era chiuso con un’archiviazione. Verdetto al quale i familiari non avevano potuto opporsi perché non erano venuti a sapere dell’inchiesta. Era stata intentata una causa civile ma la richiesta di risarcimento avanzata nei confronti della “Iniziative commerciali srl” era stata respinta sia in primo grado che in appello.

I ricorsi

La moglie di Gastaldi – assistita dall’avvocato Giovanni Policastro – si è rivolta alla Cassazione, sezione civile. I motivi principali alla base del ricorso erano due: la difesa contestava che i giudici d’appello avessero basato la loro decisione principalmente sulle dichiarazioni dei bagnini, raccolte in sede penale, sostenendo che questi non potessero testimoniare nel processo civile perché potenzialmente responsabili dell’accaduto. Su questo punto, i giudici di Roma hanno rigettato il ricorso stabilendo che le prove e le dichiarazioni raccolte in un processo penale sono valide e possono essere liberamente utilizzate e valutate dal giudice civile come “prove atipiche”.

Il secondo motivo riguardava il “diritto alla prova”. La vedova lamentava che i giudici d’appello avessero negato l’ammissione di prove fondamentali: numerose testimonianze cruciali per ricostruire la dinamica precisa dell’incidente (ad esempio l’altezza dell’acqua o lo stato dello scivolo); una consulenza tecnica d’ufficio (Ctu) per verificare la conformità dello scivolo alle norme di sicurezza; l’esibizione di documenti e filmati da parte della società. Su questi aspetti l’avvocato Policastro ha ottenuto una vittoria significativa perché la Cassazione ha accolto il motivo del ricorso e ora il caso ritorna in corte d’appello.

La suprema corte ha in sostanza ritenuto che il rifiuto di ammettere le testimonianze fosse “illogico, privo di motivazione e, soprattutto, avesse leso il diritto di difesa della ricorrente”. Le prove richieste, secondo i giudici, erano in grado di dimostrare una “diversa eziologia dell’evento mortale”, ovvero una dinamica che potrebbe confermare – oppure no – la responsabilità della società che gestiva il parco acquatico. Il nuovo processo dovrà obbligatoriamente ammettere le prove testimoniali richieste dall’avvocato Policastro. Solo dopo aver completato l’istruttoria, i giudici potranno riesaminare la dinamica dell’incidente e decidere se la società è responsabile o meno per la morte di Gastaldi.

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