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Lorenzo Carboni, algherese di 13 anni, può essere il Berrettini del futuro

di Gianna Zazzara
Lorenzo Carboni, il 13enne algherese che nel 2018 ha vinto a Milano il Next Gen under 12
Lorenzo Carboni, il 13enne algherese che nel 2018 ha vinto a Milano il Next Gen under 12

Verso la Coppa Davis a Cagliari: Antonello Montaldo da 45 anni alla guida della sezione isolana della Federtennis, parla del giovanissimo che si allena già all'Accademia Piatti. Tra le promesse anche Beatrice Zucca

18 gennaio 2020
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SASSARI. «La Sardegna porta fortuna alla Coppa Davis. È la sesta volta che la qualificazione alla fase finale si gioca a Cagliari, sulla terra rossa del Tennis club di Monte Urpinu. A marzo, contro la Corea del Sud, vedremo una grandissima Italia: Fognini, Berrettini e probabilmente il baby prodigio Sinner. Non potevamo chiedere di più. Il presidente della Federtennis Angelo Binaghi sta facendo un gran bel lavoro». Antonello Montaldo, cagliaritano, 76 anni, l’inossidabile presidente della sezione regionale della Federazione, non sta nelle pelle. «Non vedo l’ora di ammirare questi campioni»

Lei di campioni se ne intende. C’è un Berrettini sardo?

«Certo e sono sicuro che avrà un gran futuro. Si chiama Lorenzo Carboni, ha 13 anni ed è algherese, allievo del maestro Marco Lelli. Nel 2018 ha vinto a Milano il Next Gen under 12, nel 2019 è arrivato secondo nell’under 14. Ora si è trasferito in Liguria per allenarsi con il guru del tennis Riccardo Piatti, l’allenatore di Sinner. Se è bravo? Ha tutte le carte in regole per diventare il prossimo talento del tennis italiano. Ha un gran servizio, proprio come Berrettini. Se continua così, e ci mette cuore e testa, avrà un grande futuro».

Lei dirige la federazione regionale tennis da 45 anni. Come è nata la sua passione per la racchetta?

«Quarantacinque anni? A dirlo mi fa quasi impressione. Mi sono avvicinato alla racchetta per gioco, quando ho dovuto smettere di giocare a basket. Senza modestia, ero bravino. Giocavo con la Esperia, in serie A, con cestisti del calibro di Cicci Soro ed Enzo Lotti. Poi alla visita militare ho scoperto di avere un soffio al cuore e ho dovuto smettere. Così mi sono dato al tennis, per divertimento, ed è stato amore a prima vista».

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Durante la sua lunga “reggenza” i club in Sardegna sono passati da 40 ai 120 attuali.

«Insieme ai maestri Angelo Murtas, Lillo Palmieri, Aldo Pinna, Franco Pischedda, Luciano Bassetto e Mino Piu ci siamo inventati il tennis in piazza. Il sabato e la domenica andavamo in giro per la Sardegna a mettere reti nelle piazze per far giocare i bambini. In pochi anni i club sono passati da 40 a 60, poi 80, poi 100. Ora siamo a 120. Il tennis in Sardegna è vivo e vegeto».

Come è possibile farsi notare giocando sui campi della Sardegna?

«In un’isola è tutto più difficile, perché dai 15 anni in poi i ragazzi, quelli bravi, hanno bisogno di partecipare ai tornei, anche all’estero, per raccogliere i punti necessari per scalare la classifica Atp. E per noi che viviamo in un’isola tutto questo ha un costo. Per questo la Federazione si è sempre spesa per aiutare i giovani talenti a crescere, sappiamo bene le difficoltà che spesso hanno le famiglie nel sostenere i costi delle trasferte dei ragazzi. I talenti in Sardegna ci sono, e tanti, ora spetta a noi aiutarli a conquistarsi un posto al sole».

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Oltre all’algherese Lorenzo Carboni, ci sono altri giovani promesse del tennis sardo?

«Un’altra speranza è la giovanissima cagliaritana Beatrice Zucca, 13 anni anche lei, come Lorenzo. L’anno scorso è arrivata in finale al torneo internazionale Lemon Bowl, a Roma, uno dei più prestigiosi in Europa, battendo la numero 1. Purtroppo in finale si è dovuta ritirare perché aveva la febbre alta, ma sono sicuro che avrà un grande futuro. Da tenere d’occhio anche le sorelle Dessolis e Anna Putzu. Quello sardo è un movimento che sta crescendo anche grazie all’onda positiva creata dalla generazione Binaghi, che ha sfornato tennisti come Fognini e Berrettini e ora Sinner. L’Italia ha sempre avuto grandi giocatori ma ci mancava un metodo, come lo avevano invece gli spagnoli. Ora anche noi abbiamo un metodo tutto italiano fatto sì di forza fisica ma soprattutto attento alla cura dei colpi, una cura quasi maniacale».

Un consiglio da dare a questi giovani talenti?

«Divertitevi e non perdete mai la passione».
 

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