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Pozzecco in sosta forzata, lavoro e ricordi: «La mia Dinamo, gli italiani e quella sera con Pippen...»

Andrea Sini
Pozzecco in sosta forzata, lavoro e ricordi: «La mia Dinamo, gli italiani e quella sera con Pippen...»

Il coach: «Le giornate sono lunghe ma le riempio completamente, alla sera sono cotto»

01 maggio 2020
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SASSARI. «Non ho tempo per annoiarmi, cerco di sfruttare ogni minuto di questa sosta forzata. Ogni giorno arrivo a fine giornata stanco morto». Toglietegli tutto, persino il campo, ma non gli spegnerete la centralina. La “reclusione” di Gianmarco Pozzecco è fatta di studio, approfondimenti, chiamate, letture e contatti umani virtuali ma comunque vivissimi. Chi si immagina un leone in gabbia (tutti noi, onestamente) potrebbe rimanere deluso. Il coach della Dinamo sta tenendo botta alla grande.

Quella sera con Pippen. Un attimo: in casa Pozzecco c’è anche tempo per lo svago. Uno degli argomenti del momento, tra gli appassionati di basket, è il docufilm “The last dance”, che racconta l’epopea di Michael Jordan e dei Chicago Bulls. E figuriamoci se il Poz, che da giocatore azzurro fu tra i protagonisti della storica vittoria sugli Usa del 2004, non ha il suo aneddoto legato alla serie trasmessa da Espn. «Innanzitutto devo dire che è una serie clamorosa, bellissima – dice l’allenatore del Banco di Sardegna –. Siamo solo a metà ma lo considero già il film sul basket più bello insieme a Once brothers e a quello su Jim Valvano. La mia compagna è più presa di me, il lunedì stiamo incollati davanti alla tv». Una delle figure emerse in queste prime puntate è quella di Scottie Pippen, storica spalla di Jordan. «Ma tu sai che una volta con Pippen ci ho fatto serata? Sarà stato il 2000 o il 2001, la Nike mi aveva invitato alle finali del torneo di 3vs3, ci saranno state 40 mila persone. E c’era anche Pippen. La sera abbiamo fatto serata con lui e il suo agente, che era un ex giocatore di football americano. Gli ho fatto conoscere il bacardi-cola, mi sa che gli è piaciuto...».

Tra le quattro mura. «Ho appena terminato di fare un clinic – dice il tecnico triestino –. Se non li faccio io, guardo i clinic fatti da altri. Mi diverto, sto in contatto con tante persone, anche molti ex giocatori. La mia giornata inizia abbastanza presto, verso le 7. Faccio colazione, inizio a fare quattro chiacchiere con Pasquini, Sardara e i giocatori, tutte cose molto piacevoli, dietro le quali c’è anche una logica lavorativa, perché chiaramente la prospettiva è che prima o poi usciremo da questa situazione e si riprenderà a giocare a basket. Poi mi aggiorno, guardo filmati e schede, diciamo che non ho materialmente il tempo di annoiarmi. Capisco che molte persone stiano male, e chiaramente io stesso se potessi scegliere sarei in campo oppure alla Pelosa. Però le cose da fare non mi mancano. Sembra assurdo, ma arrivo alla sera che sono cotto».

Ai tempi del coronavirus. «Sembra che la situazione a livello sanitario si stia evolvendo in senso positivo, anche se siamo abbastanza lontani dalla soluzione definitiva. Stare chiusi a casa ha dato i suoi frutti, bisogna dire grazie a tutte le persone che hanno rispettato le prescrizioni. Ma il fatto che ci stiamo avvicinando alla ripresa non ci deve togliere i freni. Faccio un paragone semplice con il mestiere di allenatore: quando sei rigido e pretenzioso, i giocatori di solito sono obbedienti e disciplinati; ma quando molli un po’ la presa c’è il rischio che la reazione non sia proporzionata. È il momento di avere ancora più senso di responsabilità, dobbiamo riassaporare le cose della vita quotidiana ma in maniera seria e attenta: se ci dicono che bisogna andare in giro con la mascherina, va fatto e basta, perché può salvare la vita ad altre persone».

Tra passato e presente. L’ultima gara giocata risale al 10 marzo. Quanto è lontana questa stagione? «Ormai è un ricordo, un ricordo splendido, che vivo con grande soddisfazione – dice Pozzecco –. Ho avuto grande rapporto con tutti i miei giocatori. Anche con Jerrells: è andata com’è andata, ma la quotidianità con lui è stata ottima. È stata una grande stagione, abbiamo vinto tante partite e giocato una pallacanestro straordinaria. A tratti siamo stati vicini all’essere illegali. È stato un altro passo per accaparrarsi rispetto e affetto da parte di tutta la Sardegna intera». Nel frattempo c’è stato il 60° compleanno della Dinamo. «Sono clamorosamente entusiasta di come è la Dinamo oggi. In alcune società il passato dà quasi fastidio: è vero che viviamo un presente vincente, ma c’è un affetto nei confronti dell’individuo, nei confronti di coloro che hanno dato un contributo, anche lontano dai riflettori, che è fantastico ed è una cosa tipica del mondo Dinamo».

Il Club Italia. Gianmaria Vacirca, responsabile dell’area tecnica della Vanoli Cremona, ha proposto la creazione di una sorta di Club Italia curato dal club lombardo. «È una proposta che non solo mi piace, ma mi esalta proprio – dice il Poz –. Se dovessero farlo credendoci sino in fondo, verrebbe fuori una squadra vera. È un’idea non tanto distante da un ragionamento che avevamo fatto anche noi per la Dinamo, una squadra dalla conformazione europea e un nucleo italiano. Per quanto riguarda i giocatori italiani, la mia posizione è nota, ma da ct della Sperimentale per la prima volta nella mia vita mi sento responsabile di qualcosa. Allora mi sono messo in testa di studiare, voglio formarmi per formulare una proposta strutturata. Abbiamo un grande presidente federale come Petrucci, abbiamo Gandini che è è stato scelto per lavorare e va lasciato lavorare. Abbiamo come idea comune quella di valorizzare gli italiani: mi fa ridere sentire parlare di protezionismo, mi incazzo quando sento parlare di “panda”. Quando giocavo io mica avevo il manto bianco e nero, e a Varese ero più pagato degli stranieri. Io parlo di investire sui giocatori italiani, proteggerli e valorizzarli. Guardate cosa abbiamo fatto con Spissu. Bisogna pensare in maniera collettiva al nostro basket, non al singolo orticello».

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