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Caso Floyd, Jabbar e la Nba accusano «Usa infettati da virus del razzismo»

Caso Floyd, Jabbar e la Nba accusano «Usa infettati da virus del razzismo»

LOS ANGELES. Pugno alzato alla Tommie Smith tra la folla: sfilano anche gli assi del basket Usa e del football tra la gente di Minneapolis che protesta per la morte di George Floyd. Sei giocatori...

01 giugno 2020
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LOS ANGELES. Pugno alzato alla Tommie Smith tra la folla: sfilano anche gli assi del basket Usa e del football tra la gente di Minneapolis che protesta per la morte di George Floyd. Sei giocatori della Nba, la lega del basket fermatasi dopo la pandemia (potrebbe riprendere il 31 luglio), hanno sfilato in mezzo alla folla a Minneapolis nelle manifestazioni di protesta. Secondo quando documentano le immagini postate sui social e diffuse da alcuni media, JR Smith, attualmente 'free agent' e Karl-Anthony Towns, star dei Minnesota Timberwolves, hanno sfilato accanto all'ex giocatore Nba Stephen Jackson, campione nel 2003 con San Antonio, che era amico personale di Floyd (i due erano cresciuti insieme in Texas), e all'attore Jamie Foxx. Erano con lui anche quando Jackson ha improvvisato una conferenza stampa in strada. Su Twitter molti utenti hanno sottolineato la presenza e l'atteggiamento di grande dignità di Towns, che di recente ha perso la madre, morta per coronavirus. Ma hanno protestato in strada, tutti con la mascherina anti Covid 19 sul volto, anche Jordan Clarkson degli Utah Jazz, Jaylen Brown dei Boston Celtics, Justin Anderson dei Philadelphia 76ers (che reggeva un cartello con il disegno del pugno chiuso) e Malcom Brogdon degli Indiana Pacers, armato di megafono per dare ancora più voce all'indignazione sua e generale. Ma in prima fila c'era anche l'ex star del football americano Tyrone Carter, vincitore del Super Bowl 2008 con Pittsburgh ma anche ex dei Minnesota Vikings: era in prima fila, con giubbetto protettivo e pugno alzato alla Tommie Smith. La sua presenza non è passata inosservata

Nella società statunitense «il razzismo è istituzionale» e si tratta di «un virus più letale del Covid 19». A scriverlo come opinionista del quotidiano “LA Times” è Kareem Abdul Jabbar, il fenomeno dei Lakers (e prima dei Bucks) inventore del “gancio cielo”, con cui regalava titoli alla sua squadra fra un assist a Magic Johnson e una stoppata.

Ma Jabbar è sempre stato, fin dai tempi in cui non aveva ancora abbracciato la fede musulmana e si chiamava Lew Alcindor, un paladino dei diritti degli afroamericani, quindi non poteva certo rimanere insensibile a quanto accaduto a Minneapolis. Così, commentando sul giornale di Los Angeles la morte di George Floyd, Kareem scrive anche che «si è riaperta la stagione di caccia al nero, ma la comunità afroamericana è al limite perché per troppi anni è come se avesse vissuto dentro a edifici in fiamme».



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